Juventus – Napoli, la metafora di un paese spaccato in due

I bianconeri e gli azzurri sono l’esempio delle differenze tra il Nord e il Sud d’Italia. Così il calcio può diventare il simbolo delle vittorie e delle sconfitte della politica

Da una parte una squadra proprietà di una società che rappresenta un colosso della finanza. Quotata in borsa e pezzo di storia del “Belpaese”, la vecchia Fiat, oggi FCA, è la casa madre della Juventus.

Squadra forte, con almeno due giocatori di grande qualità per ogni ruolo, condizione ideale che le permette di vincere la Serie A e di competere ai massimi livelli in Champions League. Dall’altra un club più giovane e che ha fatto dei conti virtuosi il suo mantra.

Una politica basata sulle plusvalenze e sui sicuri piazzamenti europei che consentono introiti costanti, garantiti e necessari per tenere il bilancio sempre in ordine. Mai un azzardo, mai una “follia” sul mercato che accontentasse la piazza e consentisse al Napoli

di poter diventare davvero una squadra vincente.

Certo la SSC Napoli del presidente Aurelio De Laurentiis non è quotata in borsa, né ha alle spalle gruppi finanziari di un certo peso e prestigio. Ma è anche vero che l’utilizzo che Adl fa del club azzurro è opposto

a quello che gli Agnelli – Elkann fanno della Juve: avere il bilancio in attivo della SSC Napoli consente al patron azzurro di mantenere in ordine i conti anche della Filmauro che è, invece, in perdita. Si chiama “bilancio consolidato”, ed è una tecnica finanziaria che mettono in atto tutti gli imprenditori

a capo di più società. Il “bilancio consolidato” permette ai titolari di queste aziende di pagare meno tasse al momento della dichiarazione dei redditi.

Quindi, per quanto il Napoli rappresenti una realtà imprenditoriale virtuosa del Sud, non ha nulla a che vedere con la struttura societaria dei bianconeri. E questo è un pò lo scenario generale che vede contrapposto il Meridione d’Italia al Settentrione. Una regione vastissima che

sta continuando a bruciare le sue enormi potenzialità a causa di gravi irresponsabilità delle classi politiche che si sono succedute negli ultimi 30 anni. Ma la cosa peggiore è che mentre il Nord è la locomotiva economica, industriale e finanziaria del Paese, sempre più sviluppata in un’ottica europea

al Sud è nata ed è cresciuta una cultura reazionaria e provinciale che ci ha allontanato non solo dal resto d’Italia ma anche del continente. Ad oggi a Napoli vi è un sindaco che professa il progetto di una città autonoma e indipendente lanciando fumo negli occhi dei cittadini stanchi di promesse fatte e mai mantenute.

Un primo cittadino che giustifica la drammatica situazione finanziaria della città dando la colpa un giorno alla regione e l’altro al governo, senza mai mettere in discussione se stesso e il proprio operato. Eppure le conseguenze di quest’ultimo sono sotto gli occhi di tutti, rispetto ai disservizi di una città ormai allo stremo.

Tuttavia, se cambiamo sponda e passiamo da quella istituzionale a quella privata,

non c’è poi tanto da essere felici. La SSC Napoli cosa ha dato alla città oltre a qualche risultato positivo guadagnato sul campo? Il presidente De Laurentiis non è stato in grado di costruire uno stadio, un centro sportivo e neanche di sviluppare un movimento calcistico giovanile per i ragazzi della Campania. La sua società non ha certo dato lavoro a centinaia di giovani campani. Eppure, per quanto i soldi e la proprietà della società siano di Adl, l’anima del club è rappresentata dall’amore e dalla passione che i tifosi partenopei hanno per la maglia azzurra. Di conseguenza quello azzurro è un club chiuso nel suo recinto, con una gestione da padre – padrone e che difficilmente farà un salto di qualità da un punto di vista strutturale e organizzativo. Per quanto tempo il Napoli, considerando irraggiungibile la Juventus, manterrà la sua“superiorità” su Inter, Milan e Roma?

Ma il quadro non è piacevole neanche sugli spalti dove migliaia di tifosi della Juventus (molti campani), dalle tribune dell’Allianz Stadium, aleggiano al Vesuvio utilizzando cori razzisti contro i napoletani. Sia chiaro, a me non è mai piaciuto discutere degli sfottò da stadio, anche i partenopei rappresentano una tifoseria che non le manda a dire a nessuno.

Ma le discriminazioni territoriali sono un vero schifo e la legittimità data loro dalle istituzioni, ad esempio vietando le trasferte ai residenti in Campania, è il segnale di un vero e proprio imbarbarimento non solo di questo sport ma dell’intera società. Ma sia dal comune, tranne per qualche slogan elettorale, che dalla SSc Napoli

c’è stato a riguardo un silenzio assordante. Eppure il presidente De Laurentiis a partire dal ritiro di Dimaro non si è mai risparmiato con le sue dichiarazioni spesso esplosive e fuori luogo. Ecco, a me piacerebbe vedere sui nostri campi di calcio e nella quotidianità che viviamo ogni giorno scene come quelle che abbiamo ammirato allo Stanford Bridge di Londra.

Dopo Chelsea – Liverpool, partita spettacolare giocata con grande intensità fisica e agonistica, ci sono stati tra i giocatori e in particolare tra Maurizio Sarri e Jurgen Klopp, solo abbracci e sorrisi. Perché in fondo lo sport è un gioco e dopo la gara c’è la festa, come il “terzo tempo” nel rugby, momento in cui si esprime il massimo rispetto per se stessi e per l’avversario. Invece, noi siamo condannati a guardare un Bonucci che con la sua arroganza e presunzione sferra pugni e testate restando impunito. Questa è l’Italia, ma io so che Napoli e l’intero paese sono caratterizzati da un’umanità senza fine, c’è soltanto il bisogno di tirarla fori dandole più spazio affinché diventi motore di un progresso politico e civile.

Andrea Aversa

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