San Paolo, c’è la convenzione ma non l’accordo: ecco perché questo stadio non conviene a nessuno

Il comune di Napoli ha inviato al presidente De Laurentiis tutta la documentazione sulla possibile nuova convenzione da firmare. Oltre a questo, da Palazzo San Giacomo, sono stati stimati i debiti pregressi che il club azzurro avrebbe con l’amministrazione cittadina. Ma i motivi per il quale l’attuale impianto di Fuorigrotta è un business perdente per entrambe le parti sono altri.

Il comune di Napoli ha stimato con un totale di 4 milioni di euro il debito che la Società Sportiva Calcio Napoli avrebbe contratto con l’amministrazione pubblica. L’importo è relativo ai pagamenti che la SSC Napoli non avrebbe effettuato durante le stagioni 2016 / 2017 e 2017 / 2018. Il calcolo è stato effettuato sul 10% degli incassi che la società azzurra non avrebbe versato nelle casse del comune durante le ultime due stagioni.

Ma il presidente Aurelio De Laurentiis sembrerebbe assolutamente contrario nell’accettare le condizioni del comune. Il patron vorrebbe stornare dai 4 milioni almeno il 50%, giustificato da spese anticipate dal club e che sarebbero spettate all’amministrazione. Ad esempio, il costo sostenuto per l’installazione dei tornelli, per i biglietti anticipati che hanno consentito più volte l’ingresso gratuito nell’impianto a studenti e scolaresche e per il pagamento degli steward (forza lavoro assunta dal comune ma pagata dal Napoli). Eppure, trovando un accordo sui debiti – crediti pregressi tra le parti, la firma della convenzione risulterebbe solo un dettaglio.

La bozza trapelata oggi, grazie ad alcuni organi di stampa, prevederebbe una convenzione dalla durata di 5 anni (dal 1 luglio 2018 fino al 30 giugno 2023), con un canone annuo di 850 mila euro (nell’ultima convenzione il “fitto” del San Paolo era di 651 mila euro all’anno, cifra giudicata insufficiente dalla Corte dei conti), più altri 50 mila euro fissi l’anno per la pubblicità e il 10% relativo alle “maggiori esposizioni pubblicitarie“. Inoltre, il Napoli, sarà libero di “svolgere attività commerciali con punti vendita in aree come Tribuna Posillipo e Distinti“. Per il Comune, è prevista invece, la possibilità di organizzare d’estate “manifestazioni ed eventi“, come i concerti, “anche sul terreno di gioco“, a campionato finito.  

Rispetto ai costi che sta sostenendo la SSC Napoli attualmente, questa convenzione risulterebbe molto conveniente e permetterebbe al comune di tirare un pò il fiato dal punto di vista economico. Eppure l’accordo è ancora lontano. Le parti sembrano distanti, De Laurentiis non sembrerebbe disposto ad accontentare il comune e quest’ultimo difficilmente andrebbe in contro al club partenopeo. Addirittura, dagli uffici di Palazzo San Giacomo sarebbe già partita la messa in mora della società azzurra (inoltre, autorità e Consiglieri avrebbero richiesto di nuovo i biglietti gratuiti).

Quindi la questione San Paolo potrebbe restare irrisolta, nel breve termine rispetto al grande evento delle Universiadi (grazie al quale sono stati stanziati dei fondi che hanno consentito qualche lavoro di ristrutturazione dell’impianto di Fuorigotta), nel lungo termine in merito alla necessità dei tifosi napoletani di avere una degna casa dove sostenere la propria squadra del cuore. Dunque, ad essere vittime di questa situazione, sono sempre i cittadini e i tifosi.

Ma guardando ai numeri dell’attuale stagione, possiamo affermare che lo stadio San Paolo non è un buon investimento per la SSC Napoli. Certo, lo sarebbe un nuovo impianto, una struttura innovativa, comoda, pulita e funzionante sul modello dei migliori stadi europei. Ma il “Tempio” di Fuorigrotta, così com’è, è soltanto un problema, per i tifosi, per il club e anche per il comune. Il perché ci è spiegato dai dati, perché le statistiche non mentono mai.

La media spettatori del Napoli nel girone di andata, per la stagione 2018 – 2019 è stata di 33.700 spettatori, ben 13.000 in meno rispetto allo scorso anno (fonte Calcio e finanza). La società azzurra, secondo questo parametro, è la sesta forza del campionato, dietro Inter, Milan, Juventus, Roma e Lazio. Insomma, il club partenopeo è scavalcato da tutte le sue dirette rivali. È ovvio che per De Laurentiis uno stadio che non fa guadagnare non rappresenta più un business e quindi qualsiasi investimento in merito sarebbe valutato come inutile. Di conseguenza il comune potrebbe rischiare di perdere il suo unico “cliente” per una struttura che non farebbe gola a nessuno ma che ha un solo vantaggio: è unica. Insomma la SSC Napoli non ha impianti alternativi, pubblici o di proprietà, dove far giocare la propria squadra.

E qui entra in gioco il terzo, ma non ultimo (anzi) attore e protagonista: il tifoso. Come mai il supporter azzurro, tra i più fedeli e passionali nei confronti della sua amata maglia, sta “disertando” il San Paolo? Davvero il motivo sarebbe da individuare nel “conflitto” tra società e tifo organizzato? Assolutamente no, gli ultras, anche se rappresentano lo zoccolo duro del tifo azzurro ne compongono una piccola parte. Allora il motivo potrebbe essere riconducibile ai risultati? Non credo, insomma, il Napoli è secondo e può provare a vincere l’Europa League e inoltre quest’anno sta rappresentando l’inizio del “ciclo Ancelotti“, tutti elementi che spingerebbe sugli spalti chiunque.

E allora, perché il napoletano non va più allo stadio? È molto semplice, perché il gioco non vale la candela. Già arrivare al San Paolo è un’odissea: se si arriva con mezzi pubblici c’è il forte rischio che al ritorno questi ultimi non funzionano. Se lo fai con mezzi propri, tra traffico e parcheggio (in gran parte abusivo), il tifoso napoletano perde salute e soldi. Poi inizia un’altra avventura, quella dell’ingresso nello stadio. File, slalom tra paletti e transenne strettissimi, tre controlli, l’ansia del tornello. Una volta entrati si è già stanchi ed esauriti. A quel punto bisogna trovare un posto (perché il concetto di “sediolino riservato” è del tutto sconosciuto), camminando in una struttura sporca, fatiscente e pericolosa. Inutile dire che in curva, i famosi settori popolari che costano meno, si è costretti a stare in piedi e a rispettare le regole degli ultras. E ci sono anche altri due inconvenienti, se durante l’evento (che pretende almeno 3 ore di tempo da quando si arriva a quando si esce) a qualche sfortunato spettatore venisse voglia di andare in bagno o al bar, bhè gli converrebbe uscire direttamente, perché mentre si recherà verso il suo obiettivo – per poi far ritorno sugli spalti – la partita sarà già finita. Questa è l’esperienza media di un tifoso, immaginiamo per chi vorrebbe andarci coni i propri figli (senza considerare la moltiplicazione del costo del biglietto e le inesistenti agevolazioni per i nuclei familiari).

In Inghilterra, Spagna e in Germania, tre campionati europei dal valore differente, ci sono le televisioni ma anche stadi civili e all’avanguardia. Le società ci guadagnano e i tifosi (tra i quali molte famiglie) li affollano (senza incidenti, senza razzismo e tutti si divertono). A Napoli (ma la questione è italiana), probabilmente il problema non è rappresentato dalla “pay tv” e nemmeno dal siparietto che vede protagonisti De Laurentiis e De Magistris. Il problema è che da noi conviene guardare le partite comodamente sul divano di casa, con i propri amici o insieme ai nostri bambini (e Sky, Mediaset e Dazn hanno un costo). A meno che non si ha la possibilità economica di andare in tribuna. Ma questo sarebbe classismo ma nessuno lo dice, così come nessuno si è deciso a fare una “cazziata” al sindaco e al patron azzurro affinché risolvano la questione che ha una soluzione ed una soltanto: la costruzione di un nuovo stadio. Ma forse, adesso, stiamo andando troppo oltre con la fantasia, eppure “sognare” è l’unica cosa che non ha prezzo, del resto come si dice: la speranza è l’ultima a morire.

Andrea Aversa

Start typing and press Enter to search