L’amore per la squadra sta svanendo come quello per la città? Non credo

Ma quello napoletano non era un “popolo d’amore”, così come affermato dal grande Professor Bellavista? Invece, tra “odio” per il passato da una parte e rifiuto del futuro dall’altro, stiamo assistendo alla “distruzione” di quell’empatia che ha sempre caratterizzato i napoletani. Ma non è tutto perduto, basta riacquistare la fiducia per una città che ha bisogno di rialzarsi. Ma il presupposto fondamentale affinché questo avvenga è l’unità di tutti gli attori della società partenopea

Giorni bui per il Napoli e la città. Il dato sulla poca affluenza allo stadio San Paolo è stato letto come un sintomo causato da diverse “patologie”: un campionato già deciso, una società incapace di comunicare se stessa ai tifosi, questi ultimi ormai divisi tra “sarristi – papponisti” da un lato e “aziendalisti” dall’altro, una struttura sportiva – quella di Fuorigrotta – fatiscente e insicura, il domino della pay tv.

Queste, sono tutte variabili che stanno incidendo su quel malessere che mai nessuno avrebbe potuto immaginare potesse intaccare i tifosi azzurri: l’abbandono degli spalti e una sorta di indifferenza rispetto alle sorti della squadra.

Ma se abbandoniamo il campo da gioco e torniamo a passeggiare per le vie della città, riuscendo con attenzione a percepirne gli umori, è evidente che questa sorta di apatia (o meglio di apucundria come direbbe il grande Pino Daniele) c’è anche tra i vicoli e le strade napoletane.

Anche il cittadino è assuefatto dall’inefficienza. È impotente e preda di una sorta di passività per la quale nulla possa cambiare. Così ci auto convinciamo che Napoli così deve essere, non ha altre possibilità. Il senso civico sembra ormai latitante e la classe politica e dirigente locale è stata brava a costruire tutte le migliori condizioni per questa grave assenza.

Ormai a Napoli, sia per quanto riguarda la città che la squadra di calcio, si vive in una sorta di limbo dove intravedere visioni future sembra quasi impossibile. La politica sopravvive, va avanti per slogan e non agisce se non per tentare di non perdere consenso in vista delle prossime sfide elettorali.

La SSC Napoli che ha intrapreso un percorso ben preciso scegliendo un allenatore come Carlo Ancelotti, è incapace di creare una forte identità che la leghi al tessuto sociale più vivo e denso di cui fa parte il tifo partenopeo. Eppure le potenzialità ci sono tutte, perché Napoli ha le carte in regola per essere una capitale europea ed una realtà importante nel calcio mondiale.

Nonostante ciò, tutti si lamentano e nessuno fa niente. Ci vorrebbe una sorta di “Messia” che risvegli le coscienze dei cittadini napoletani. Ci vorrebbe un politico serio e responsabile che riporti entusiasmo, ci vorrebbero imprenditori e professionisti capaci di accompagnare il processo politico, ci vorrebbero cittadini dallo spiccato senso civico.

Ci vorrebbe unità, di intenti e ed emotivi, tra tutti questi attori. Così come ci vorrebbero dei professionisti che facciano crescere la SSC Napoli sempre vittima di una mala comunicazione che spesso e volentieri ha causato spiacevoli conflitti con la tifoseria. Quest’ultima, come la società napoletana, è divisa, sfilacciata. 

Ma io ho una convinzione, senza ricorrere a soliti e banali luoghi comuni, sono sicuro che quello napoletano è ancora un “popolo d’amore“. Il napoletano ha passione ed energia da vendere e da mettere a disposizione per la città. Adesso è necessario che qualcuno sia in grado di intercettare queste emozioni, questi sentimenti e di renderli concreti. Per il bene di Napoli, dei cittadini e dei tifosi.

Andrea Aversa

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