“Ci sono vite che Capitano e vite da Capitano”: Daniele Conti

“Ci sono vite che Capitano e vite da Capitano”: Daniele Conti

CONTI: La distanza media tra il pianeta Terra e il pianeta Nettuno è pari a circa 4,5 miliardi di chilometri. Tanta, troppa distanza. Meglio allora ritornare con i piedi per terra e prendere in considerazione distanze possibili da abbattere. Come quella tra Nettuno, comune nel Lazio facente parte della città metropolitana di Roma Capitale, e Cagliari, culla della Sardegna. Due posti d’ Italia tanto diversi per grandezza e importanza, ma che hanno in comune un figlio: Daniele Conti.

Daniele nasce a Nettuno nei primi giorni del ’79. Il suo cognome in Italia, più precisamente nel calcio italiano, ha un valore non da poco: è quello di Bruno Conti, il suo papà; campione del mondo nel 1982 con la Nazionale Italiana e bandiera della Roma con cui è campione d’ Italia nell’ ’83. E si sa: i grandi campioni vogliono lasciare la loro eredità ai figli. Daniele la accoglie subito e inizia a dare i primi seri calci ad un pallone proprio nella Roma, con la quale esordisce in Seria A nel Novembre del ’96, a soli 17 anni. Ma diventare un simbolo del club dove già un tuo predecessore ne ha fatto un pezzo di storia, in questo caso tuo padre, è quasi impossibile. Ed è per questo che Daniele deve farsi accogliere da un altro popolo.

Nell’ estate del ’99, a 20 anni, arriva la chiamata del Cagliari. Daniele non immaginerà mai che da quel momento

inizierà una pagina storica della sua carriera, proprio come era successo al padre.

Tuttavia l’ inizio da “cagliaritano” è deludente per lui: nei primi anni in Sardegna Conti è una meteora della squadra rossoblù, vede poco il campo e non riesce ad adattarsi. Nonostante il cognome importante e la 10 sulle spalle.

Fino a prima della stagione 2003-2004 però, quando inizia la sua scalata in quello che diventerà il suo Cagliari.

Lascia il 10, un anno con la 8 e poi la scelta del 5 che lo rappresenterà come icona rossoblù. Si reinventa in campo costruendosi regista basso e diventando di lì ai successivi dodici anni uno dei migliori interpreti di questo ruolo in Italia. Geometrie e invenzioni, tackle e cazzimma, gol e cartellini. La punizione la sua specialità. Una sentenza sui calci da fermo e nei tiri da fuori area. Tanta corsa e polmoni.

Diventa la bandiera della nuova epoca del Cagliari, nel cuore di tutti i tifosi e idolatrato. Al Sant’ Elia e dintorni neanche se lo ricordano Bruno. C’ è un solo Conti e si chiama Daniele.

Regala al popolo che lo adotta 464 partite con 51 gol. Recordman di presenze all-time nella storia dei Casteddu.

Ogni volta che giocava con la maglia sarda faceva battere forte i cuori della sua gente e di tutti gli appassionati di calcio. Era il simbolo della Sardegna. Lo specchio di una terra piena di bellezza e di tradizione. Una terra viva e unica che attraverso la sua immagine e il suo amore per essa arrivava sui campi di tutto il Paese. Un’ icona assoluta. La personificazione di Ichnusa.

Ripaga l’ amore rossoblù con parole bellissime…

“Mi butterei nel fuoco per il Cagliari”.

“Cagliari è la vita. C’è la mia famiglia, subito dopo viene il Cagliari. Lo amo proprio. Quando ho smesso sono stato sei mesi a casa, mi mancava l’ aria”.

“Con la famiglia abbiamo deciso: si sta a Cagliari a vita. Alla Roma non sarei mai tornato, ci ha giocato mio padre e l’ ambiente sarebbe stato impossibile anche per il cognome che porto.”

“La mia Nazionale è stata sempre il Cagliari. Sono legato troppo a questa maglia e il resto non mi interessa”. (in risposta alle mancate convocazioni in Nazionale)

“Essere accostato alla storia da Riva è da brivido, è un onore sfiorare la sua carriera”.

Gloria a Daniele Conti, una delle tante bandiere ammainate di un calcio che non c’ è più, ma che continua a sventolare nei cuori dei tifosi sardi e degli appassionati del pallone che lo hanno amato e lo ameranno per sempre.

Marco Falco

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