Caro Presidente, cosa ne pensi del azionariato popolare? – di Mattia Ronsisvalle
“Le tue parole fanno male…” cantava Cesare Cremonini in una sua canzone.
Partiamo proprio con analizzare le parole, pungenti come spine, del Presidente della S.S.C Napoli, Aurelio De Laurentiis, pronunciate negli scorsi giorni: “I tifosi non sono proprietari del club. È chiaro che noi lo spettacolo, così come avviene nel cinema, lo facciamo per far piacere ai tifosi. Ma i proprietari non sono loro. In casa mia, decido io.”
Un po’ come se il patron azzurro avesse esclamato “il pallone è mio e decido io!”.
Eppure, il calcio e la propria squadra del cuore dovrebbero appartenere a tutti i tifosi appassionati, al di là di gerarchie ed altro.
Ma possono i tifosi essere davvero i proprietari di una squadra di calcio? Certo che sì!
Avete mai sentito parlare dell’azionariato popolare? Con questo termine si indica nello sport la diffusione della proprietà azionaria di una società presso i tifosi di riferimento. In altre parole, il singolo tifoso detiene una partecipazione azionaria della squadra locale, del cuore etc…, pagando una quota annuale e ricevendo in cambio tutta una serie di benefici, che vanno dalla partecipazione attiva alla gestione della società (ad esempio attraverso le assemblee dei soci o con le elezioni degli organi amministrativi) a tutta una serie di agevolazioni relative a biglietti, eventi, gadget della squadra o ad altre convenzioni con partner commerciali del territorio.
In Europa di esempi vincenti basati su questo modello ce ne sono eccome.
“Més que un club” è il motto del Barcellona, ma è soprattutto la realtà con la quale la squadra di calcio viene percepita in città e in Catalogna in generale. Il Barça rappresenta un modello di valori in cui i supporters si identificano. La squadra di calcio, per il tifoso catalano, non è solamente uno spettacolo sportivo da seguire in tv o allo stadio, ma è anche un’associazione alla cui gestione può partecipare attivamente ed i cui valori vanno ben oltre lo sport assumendo caratteri politici, linguistici, etnici. Il catalano si identifica con i colori sociali del Barcellona, ne diventa membro, partecipa alle assemblee dei soci, riceve in cambio tutta una serie di benefici che sono stati stimati, qualche anno fa, attorno ai 700 euro annui per ciascun socio, pagandone circa 170 per diventare socio.
In Italia l’azionariato popolare non è una pratica molto diffusa, i primi esempi si sono registrati nelle serie minori ed hanno riguardato piccole percentuali del capitale sociale, come ad esempio il 2% dell’associazione Amici del Rimini per il Rimini e dell’associazione Orgoglio amaranto per l’Arezzo, all’epoca (2010) entrambe in Serie D. Anche l’Ancona, ripartita addirittura dal campionato di Eccellenza nel 2010, ha ricominciato la sua vita sportiva con il 2% del capitale sociale in mano all’associazione “Sosteniamolancona.”
L’azionariato popolare è la svolta che aspettavamo? No, anche tale modello non è esente da vizi. Prendendo a riferimento gli eclatanti casi di Real Madrid e Barcellona è chiaro ed evidente che, indipendentemente dal modello di proprietà, la gestione finanziaria del club può comunque rimanere poco trasparente, se non addirittura in contrasto con la legge.
Consideriamo questo modello come un trade-off molto convincente tra la capacità di attrarre fondi e il mantenimento dei tradizionali valori del club nella comunità di riferimento.
Mentre per quanto riguarda il Presidente Aurelio De Laurentiis, ci limitiamo a riportare la citazione di Georges Braque che dice: “Contentiamoci di far riflettere, non cerchiamo di convincere.”
Mattia Ronsisvalle