Scaroni: “La Serie A è diventata la Serie B d’Europa. Siamo indietro di 20 anni”
Scaroni: “La Serie A è diventata la Serie B d’Europa. Siamo indietro di 20 anni”

Paolo Scaroni, presidente del Milan, ha rilasciato una lunga intervista a Il Foglio. Le sue parole riportate da CalcioeFinanza:
“La nostra Serie A è diventata una Serie B se comparata con gli altri grandi campionati europei. Ci hanno superato tutti, o quasi, negli ultimi vent’ anni. Il mondo del calcio, come qualunque altro settore industriale, commerciale o di entertainment, è fatto di prodotti e dalla capacità di venderli. Noi, di conseguenza, dobbiamo presentare un prodotto che piace. Il calcio è sì uno sport, ma è anche uno spettacolo e uno spettacolo richiede uno stadio bello e possibilmente ben illuminato, sempre pieno di tifosi, moderno, né troppo grande né troppo piccolo.
Non solo abbiamo stadi più vuoti, ma siccome li abbiamo anche più vecchi, non riusciamo a incassare denaro attraverso le attività ancillari che gravitano attorno all’impianto. Si pensi solo che i ricavi da stadio sommati di Milan e Inter nel 2017/18 e 2018/19 (totale: 157 milioni) sono inferiori a quelli di Chelsea, Tottenham, Arsenal, Liverpool e Manchester United considerati singolarmente.
Sproporzione che vediamo sia sul fronte dei diritti tv nazionali, ma ancora di più su quello dei diritti internazionali. Da questi noi incassiamo 200 milioni a stagione, la Premier due miliardi all’anno. Dieci volte tanto. Siccome il denaro è il motore dello spettacolo – i giocatori costano – il confronto è facile: entriamo in un circolo vizioso che porta il nostro calcio a scadere continuamente. Il risultato netto è che il prodotto che offriamo è scarso, senza i Messi e Mbappé, semplicemente perché non possiamo permetterceli. E se continuiamo così, ci allontaneremo sempre di più dall’eccellenza del calcio.
Possiamo prendere i migliori cantanti operistici al mondo, ma se poi li facciamo cantare in un capannone anziché alla Scala, c’è una bella differenza. Fare infrastrutture in Italia è un problema drammatico: la gente dice di non avere nulla in contrario, purché siano lontane. Sugli stadi è stato fatto uno sforzo notevole con la legge del 2013, che prevedeva di togliere – almeno in gran parte – alle amministrazioni comunali la possibilità di veto sulla costruzione di un nuovo impianto e di favorire lo sviluppo di volumetrie per le attività terziarie collegate allo stadio. In realtà, guardando bene questa legge, si scopre che così non è.
Adesso avrà luogo la consultazione popolare, un procedimento che richiederà un anno. Ci capiamo? Ci sono tutte le approvazioni, tutti sono d’accordo e bisogna fare anche la consultazione popolare. Benissimo, questa è la legge e noi vogliamo rispettare la legge, ci mancherebbe. Ma perché la legge del 2013 non ha previsto che tale vincolo fosse eliminato? E poi ci sono i ricorsi al Tar che, anche se saranno vinti, comporteranno ulteriori ritardi. E mentre noi aspettiamo, il mondo va avanti. Nello stesso periodo tre stadi sono stati costruiti solo a Londra, per dire.
Abbiamo incontrato una serie di obiezioni anche da appassionati di calcio che, evidentemente, non colgono il fatto che lo stadio è un ingrediente fondamentale dello spettacolo. Ma perché gli inglesi costruiscono impianti da 60 mila posti e non da centomila? Perché sono preoccupati che se si gioca una partita non di cartello, lo stadio sarà semivuoto. E nessuno, proprio per rispetto dello spettacolo, vuole stadi semivuoti.
Lo spettacolo deve essere fatto da tanto gioco e poche interruzioni. Faccio solo un esempio: Milan-Udinese del febbraio scorso si è conclusa con 45′ e 38” di gioco effettivo contro i 97 minuti complessivi dell’incontro. Così è tutto noioso. Anche gli arbitri devono contribuire, magari evitando interruzioni frequenti che non hanno pari negli altri campionati: i falli sono la seconda causa più diffusa delle interruzioni nel calcio internazionale – siamo al 14,8 per cento. In Serie A arriviamo a oltre il 15 per cento dei casi, quando in Premier si è fermi al 12,5. Insomma, l’arbitro dovrebbe essere più sensibile al fatto che è parte integrante dello spettacolo e dovrebbe cercare di ridurre le perdite di tempo: dai rinvii del portiere alle rimesse laterali, fino alla ripresa del gioco dopo i falli (27,6 falli a partita in Serie A, quando in Champions sono 25,2 e in Premier 21,5) che avviene mediamente dopo 32,4 secondi. Ma non è che lo dico io, basta accendere il televisore per rendersene conto. Un prodotto noioso e meno appassionante è difficile da vendere sul mercato internazionale.
Le cifre che ho citato le conoscono tutti i club italiani. Stiamo discutendo di come vendere i nostri diritti negli Stati uniti, in Cina, Australia. Ne parliamo sempre. E’ indispensabile avere un’organizzazione per essere lì presenti, ma dobbiamo essere consapevoli, e lo ripeto, che va migliorato il prodotto. Un conto è avere un prodotto, altra cosa è riuscire a venderlo. Se vogliamo vendere il nostro prodotto in Cina e negli Stati Uniti, dobbiamo anche uscire dalla dimensione un po’ paesana del nostro calcio, e cambiare gli orari di alcune partite: se il match clou lo programmiamo alle nove di sera, a Pechino non lo guardano.
Gli stadi italiani sono circondati da bancarelle gestite da signori che andrebbero multati, perché fanno una cosa illecita. Un altro danno economico per le squadre di calcio. Noi abbiamo la necessità di imbastire un’attività capace di stare in piedi: è finita l’epoca dei mecenati, dei Moratti e dei Berlusconi. Quel mondo non sarebbe neanche più possibile, con i vincoli del Financial fair play. Un’attività sta in piedi se c’è uno stadio pieno, se sugli spalti si vedono magliette non contraffatte, se le attività attorno all’impianto hanno possibilità di svilupparsi. Lo spettacolo va al di là dell’ora e mezza di partita, come si vede in Inghilterra.
Nuovo stadio? Il primo sito che ci dà il via libera, noi lo prendiamo. Per quanto riguarda la zona di San Siro, sono abbastanza ottimista. Certo, quando a novembre, dopo una lunga discussione, abbiamo deciso di abbassare i volumi per le attività-non stadio, l’ultima cosa che avrei immaginato è che ci sarebbe voluto un altro anno di attesa per la consultazione pubblica. Così diventa un percorso complicatissimo, del resto comune a tutta Italia. Direi, citando mie esperienze pregresse, che fare uno stadio in Italia è come fare – sempre in Italia – un rigassificatore”.
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