“Prima Napoli Poi il Napoli”: La terribile assuefazione alla mediocrità
Ormai, in Italia, non si tende più a migliorare. La massima aspirazione è quella del “meno peggio”. E questo vale per la politica, per l’economia ed anche per il calcio
Ho letto con attenzione l’intervista che il Direttore del Corriere del Mezzogiorno Enzo D’Errico ha rilasciato a Il Napolista. Le ragioni sono due. Primo, ritengo il quotidiano diretto da D’Errico un punto di riferimento per quanto riguarda gli approfondimenti e le riflessioni relative a Napoli e alla società napoletana. Secondo, credo che Il Napolista stia sviluppando un dibattito interessante su quello che sta accadendo intorno al calcio Napoli. Tutto questo al di la dell’essere d’accordo o meno con i contenuti scritti e pubblicati su entrambi i giornali.
Vi dirò di più. Sulla descrizione socio-politica e culturale che D’Errico ha fatto della città sono pienamente d’accordo. Ma mi permetto di dissentire su quello che è stato il suo parere in merito a quanto espresso sull’operato del presidente Aurelio De Laurentiis. Anzi, ho trovato le sue affermazioni in contrasto con le ipotesi e le tesi portate avanti in tutta l’intervista.
Attenzione, che la città di Napoli stia attraversando un periodo buio e difficile da un punto di vista economico, sociale e politico è un dato di fatto. Che la SSC Napoli può essere considerata un’eccellenza all’interno del panorama finanziario del Mezzogiorno è fuori dubbio (anche perché storicamente il Meridione non ha una tradizione imprenditoriale). Ma definire De Laurentiis un grande imprenditore vuol dire commettere un doppio errore. Il primo perché la qualifica è tecnicamente errata.
“L’imprenditore è colui che detiene fattori produttivi (capitali, mezzi di produzione, forza lavoro e materie prime), sotto forma di imprese, attraverso i quali, assieme agli investimenti, contribuisce a sviluppare nuovi prodotti, nuovi mercati o nuovi mezzi di produzione stimolando quindi la creazione di nuova ricchezza e valore sotto forma di beni e servizi utili alla collettività/società assumendosi il rischio d’impresa“.
Questa è la definizione italiana del termine “imprenditore“. Ebbene, De Laurentiis ha acquistato il Napoli dopo che quest’ultimo era fallito. L’ha fatto con 30 milioni che gli aveva prestato una banca. Quindi un rischio minimo (per non dire “speculativo”) con un massimo guadagno. E fin qui non c’è stato nulla di male. Ma i principi di “creazione di nuova ricchezza, sotto forma di beni e servizi per la collettività“, non credo che il patron azzurro li abbia rispettati.
Certo, il Napoli era un club fallito e senza palloni, ora è una società solida che si qualifica in l’Europa ed è stabilmente tra le prime quattro squadre della Serie A. Anche questo va benissimo ma dopo 15 anni di presidenza non vi sembra un pò poco? Non vi sembra riduttivo per un club definito come “eccellenza” avere come unici introiti le plusvalenze, i diritti tv e gli incassi per le qualificazioni europee? Non è strambo per una società come quella del Napoli avere ancora una struttura professionale di tipo familiare? Non vi suona strano che un club come quello partenopeo abbia ancora tutti quei deficit in marketing e comunicazione?
E quel giorno che De Laurentiis cederà il Napoli, cosa lascerà alla città? Nulla, se non un brand con i conti a posto. Perché in 15 anni ADL non è stato in grado di fare un solo investimento, ad esempio, nelle strutture o nel settore giovanile. Di conseguenza, la parola “imprenditore” la lascerei a personaggi come Agnelli, Armani, Berlusconi, Del Vecchio, Ferrero, Mattei, Olivetti, persone che oltre a fare impresa hanno anche lavorato per concretizzare una visione che avevano della società, innovando e rinnovando quest’ultima (nel bene e nel male).
Con tutto il rispetto, De Laurentiis non è altro che un ottimo commerciante. Ma questo non è affatto un peccato, del resto l’Italia è una nazione che è stata fondata sulle piccole e medie imprese. Però bisogna dire la verità, essere realisti e sinceri. Il peccato è fare l’esatto contrario mischiando le carte in tavola.
Il secondo motivo per il quale è sbagliato affermare che De Laurentiis è un imprenditore eccellente è relativo alla demonizzazione della parola “debito“. ADL sarebbe un grande uomo d’impresa perché non ha fatto debiti. Peccato che è vero proprio il contrario e cioè che qualsiasi impresa è basata sul debito. L’imprenditore è colui che se ha 100, fa un debito per avere 200 ed investire il tutto (assumendosi il rischio d’impresa) sapendo che avrà molte probabilità di guadagnare almeno il doppio. Quello che ricaverà servirà in parte a pagare il debito, mentre il resto sarà reinvestito. Le più grandi società finanziarie sono indebitate, i più grandi club – vincenti – hanno fatto, fanno e faranno debiti. È anche in questo modo che si creano lavoro e sviluppo.
Poi sta nella bravura dell’imprenditore, appunto, far si che il proprio prodotto sia talmente valido da scongiurare qualsiasi fallimento. Quindi togliamoci dalla testa lo stupido assioma: debito=fallimento. Così come non è vero che si può vincere senza soldi e senza strutture. Queste sono favole alle quali neanche i bambini credono. De Laurentiis, invece, se ha 100 ne investe 80 e 20 li mette da parte. Con quegli 80 ne guadagna il 160 (il doppio) e ne investe 100.
In questo modo potrà affermare di aver investito di più, rispetto alla prima volta, “nascondendo” di aver accumulato un tesoretto di 80 (l’investimento iniziale) che però resta, di fatto, inagito. Ora, lasciando perdere questi calcoli da profano dell’economia ed esempi banali a parte, tutto ciò vorrebbe dire essere dei “grandi” imprenditori? Non credo. Ma ripeto, in questo non c’è nulla di male, ma è anche giusto raccontarlo altrimenti ai napoletani comunichiamo soltanto frottole e gossip.
Ma la questione è un’altra, e qui sono in parte d’accordo con D’Errico. A Napoli popolo ed elite sono assuefatti dalla mediocrità (tranne rare eccezioni). Ormai non ci accorgiamo più di nulla. Il degrado che ci circonda è diventato “normale”. Così, ci accontentiamo del “meno peggio”, perché incapaci di puntare al meglio. Se non ci fosse De Laurentiis chi comprerebbe il Napoli? Vi lamentata di De Magistris, ma qual è l’alternativa? Non vi stanno bene i 5 Stelle ma quelli di prima li avete già dimenticati?
Questo discorso ha ucciso l’oggettività e il diritto di critica. Ha tarpato le ali ad ambizioni e aspirazioni. Ha distrutto capacità e competenze estromettendo le eccellenze dalla vita pubblica ed economica. Toccherebbe a noi giornalisti o a qualche intellettuale indicare all’opinione pubblica una direzione ottimistica e positiva da seguire. Almeno, illustrando gli strumenti d’analisi e di pensiero necessari per farlo.
Ma in fondo abbiamo i turisti, il mare e il sole, governanti incompetenti ma onesti, i palloni, la qualificazione in Champions e per ora il secondo posto. Evidentemente, per molti, le cose vanno bene così.
Andrea Aversa