Non solo stadio, gli spettatori ora fuggono anche dalla Tv

  
Calo audience tv serie A. La disaffezione del pubblico italiano nei confronti della Serie A non è più manifestata solo dagli ampi vuoti sugli spalti degli stadi italiani. Anche la televisione sta vivendo un momento particolarmente delicato, con dati di ascolto in calo che fanno suonare più di un campanello d’allarme.

 

A dedicare una approfondita analisi al tema è questa mattina il quotidiano La Repubblica che offre dati e rilevazioni sulla presenza televisiva degli italiani giungendo ad una poco rosea conclusione.

Da qualche tempo, anche gli “stadi” mediali si stanno svuotando. Questa è, almeno, l’impressione che si ricava, se consultiamo i dati di ascolto di Sky e Mediaset Premium (fonte: Auditel).
Negli ultimi anni, il pubblico del campionato di serie A, infatti, risulta in calo – costante – in entrambe le pay tv. In egual misura. Fra la stagione 2012-13 e quella 2013-14 il numero di spettatori dei due network, cumulati e considerati insieme, diminuisce, complessivamente, di quasi 10 milioni di unità. Il 3% in meno. In quella successiva, 2014-15, scende ancora di più. Di altri 22 milioni. Cioè, di un ulteriore 6%.
Complessivamente, dal campionato 2012-13 a quello 2014-15 – e quindi in tre stagioni – la platea televisiva di Sky e Mediaset Premium si è ridotta del 4% medio annuo e complessivamente di 32 milioni di unità. Naturalmente, le cause di questo sensibile ridimensionamento sono diverse.

Il campionato ha perso, da anni, appeal, insieme a molti campioni. Che sono andati altrove. In altri campionati di altri Paesi. Così, l’interesse suscitato dagli incontri di vertice della Premier oppure della Liga ormai è superiore rispetto a gran parte degli incontri che si svolgono nei nostri stadi. Peraltro, il dominio della Juve – da alcune stagioni – ha raffreddato le passioni.
D’altronde, secondo i dati dell’Osservatorio sul tifo di Demos-Coop (settembre 2015), la Juve è la squadra con il maggior numero di tifosi (35%), il Napoli la quarta (10%), subito dopo le due milanesi. Eppure il declino degli ascolti non si arresta.
Neppure nel campionato in corso. Prosegue, invece, e sembra perfino aumentare. Considerando le prime 25 giornate, il pubblico cala dell’11%. Cioè, oltre 25 milioni di spettatori in meno. Certo, alcuni incontri suscitano ancora grande interesse. Pari e talora maggiore – anche se di poco – rispetto agli anni precedenti.
La partita di vertice fra Napoli e Juventus, giocata sabato 13 febbraio, nonostante la concomitanza con la serata finale del festival di Sanremo, ha totalizzato 3 milioni 670 mila spettatori. Circa 1 milione e 100 mila di più dell’andata. Peraltro, il declino del pubblico non riguarda la platea di tutte le squadre, considerate insieme. Coinvolge, invece, le principali squadre.

Juventus, Roma, Napoli e le due milanesi: dal campionato 2011-12 a quello attualmente in corso (2015-16) perdono tutte ascolti. Dai 9 milioni e 700 mila, fatti osservare dal Milan, a 1 milione, circa, nel caso dell’Inter. Quest’ultima, peraltro, è l’unica squadra ad aver guadagnato in modo significativo, durante l’attuale campionato: oltre 5 milioni di spettatori.
La classifica, come si è detto, fa ascolti. Ma, al tempo stesso, li può deprimere. Assistere a partite accese, giocate da campioni, in un campionato combattuto ed equilibrato: aiuta. Alimenta l’attenzione del pubblico.
Il calo che si osserva su Sky e su Mediaset Premium suggerisce anche che il declino del pubblico non dipenda soltanto dall’interesse, ma anche dalla credibilità – molto bassa – dello spettacolo e dei suoi attori. Accostati a scandali e sospetti – sempre più frequenti.

Un’idea rafforzata dai dati dell’Osservatorio di Demos-coop (settembre 2015). Il 53% dei tifosi ritiene, infatti, che il campionato, rispetto a 10 anni fa, sia maggiormente condizionato dalle scommesse, il 42%: dalla criminalità e dalla corruzione. Per contro, solo il 15% pensa che sia divenuto più credibile. Il 45%: di meno.
Così, per citare Spinoza, anche nel calcio è giunto il tempo delle “passioni tristi”. O, peggio, senza passioni. E rischia, per questo, di annunciare un tempo molto triste. Per gli “interessi” (economici) delle società calcistiche e delle reti tv. Ma anche per noi. Perché vivere senza passioni e senza bandiere, politiche e perfino calcistiche: non è un bel vivere.

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