Licenziamenti in casa Inter: il magazziniere Paolo di Francesco si racconta

Licenziamenti in casa Inter: il magazziniere Paolo di Francesco si racconta

Licenziamenti in casa Inter: il magazziniere Paolo di Francesco si racconta

Che il calcio stia vivendo uno tra i momenti storici economi più difficili è ormai palese a tutti, a quelli del settore e a quelli no. Per rientrare nei conti le società si stanno servendo, abusando, di tutti i mezzi possibili. Plusvalenze, abbassamenti dei salari, costo biglietti alle stelle, crescita vertiginosa dei prezzi dei gadget e finanche licenziamenti, sono all’ordine del giorno.

Di questi ultimi ne sanno bene qualcosa i tre storici magazzinieri dell’Inter che si sono visti licenziare dalla società, il 1 Novembre, ironia lo stesso giorno del rinnovo di contratto di Lautaro Martinez, e vedere il trasferimento dei loro servizi e delle loro funzioni interne ad una azienda a fornitori esterni. Questo procedimento di esternalizzazione è un mezzo di cui si avvalgono le società-aziende per parcellizzare la propria struttura delegando ad altre società-aziende segmenti del proprio processo produttivo.

Questo allo scopo di frantumare numericamente la presenza dei lavoratori all’interno della stessa azienda con un inquadramento normativo inserito in uno stesso contratto. Questo metodo porta a licenziamenti a pioggia, oltre ad un gioco a ribasso delle condizioni del lavoratore che è visto solo come un numero e non come una risorsa. Per abbattere il costo del lavoro le aziende medio-grandi si avvalgono delle catene del sub-appalto spesso affidate a cooperative o consorzi, che godendo di agevolazioni fiscali, risultano maggiormente competitivi nelle acquisizioni delle gare d’appalto, con il risultato finale però di meno contratti collettivi nazionali ma più contratti che rasentano la schiavitù.

Fonte: Sportellate.it

In un intervista Paolo di Francesco, uno dei tre magazzinieri, parla della sua esperienza lavorativa e si racconta. “ Ho iniziato a lavorare  nel 2010 all’Inter con un contratto a termine di un anno prima, poi trasformatosi nel 2011 in un contratto a tempo indeterminato. Quell’assunzione era il sogno che si realizza, lavorare per la propria squadra del cuore aveva per me dell’incredibile. Ho assistito al passaggio della proprietà da una società a conduzione familiare, quella di Moratti, ad una società che opera come una multinazionale con capitali esteri e per di più con un management che non arriva dal mondo del calcio. Comprendo benissimo che ogni cambio di proprietà comporti dei cambiamenti, sia di gestione della squadra, sia del personale. Oggi un tale percorso è diventato una consuetudine per tante piccole società a gestione familiare finite poi nelle grinfie di multinazionali che hanno l’unico obiettivo dell’ampliamento del business core a brand di intrattenimento. Per me resta l’enorme paradosso dal punto di vista economico di come non si lesini sui giocatori ma si licenzino i dipendenti prima di Natale. Certo io non rappresento un investimento per la società, ma non mi piace neppure come la società mi consideri e cioè l’essere solo un costo. Noi siamo risultati come lavoratori in esubero, la società ha così deciso di esternalizzare il servizio del magazzino centrale ad una società di logistica esterna, quindi per la società i magazzinieri che ci lavorano sono da ricollocare o licenziare. Noi magazzinieri, inutile dirvi, pensavamo di essere reimpiegati in altre aree sportive della società, data l’importanza della nostra figura all’interno di una società di calcio. Invece le cose non sono andate così come ci aspettavamo, ci hanno subito sottolineato che non intendevano reimpiegarci altrove. Nella spazzatura sono finiti encomi per il lavoro svolto, apprezzamenti passati, esperienze personali e anzianità di servizio. Dall’inizio noi abbiamo avvertito l’intenzione della società di umiliarci, un’arroganza la loro non degna della stile Inter. Ed è proprio per questo loro atteggiamento che abbiamo deciso di raccontare ai media la nostra disavventura. Abbiamo deciso di parlare anche a nome di quelli che in passato hanno subito lo stesso trattamento   e per quelli che lo subiranno in futuro. In molti hanno abbracciato la nostra causa, il CN, esponenti noti interisti come Paolo Rossi, la CIGL, le forze politiche presenti  nel consiglio comunale a Milano. La solidarietà nei nostri confronti è arrivata anche dai dirigenti e colleghi di altri club. Ciò che ci è capitato non rappresenta di certo una bella pagina nella storia dell’Inter, piuttosto rimarrà una macchia nera indelebile. A noi non resta altro che sperare nella sentenza del giudice del lavoro. Altre proposte o valide alternative non sono mai arrivate: lavorare con un contratto di 1 anno alla società di logistica oppure diventare autisti di pullman di linea a San Giuliano milanese per un’azienda che collabora con l’Inter. Non abbiamo la patente da autobus di cui  poterci servire per di più. Sarebbe stata una soluzione coerente e onesta alternativa la proposta di lavorare presso altre società sportive o sponsor come avevamo chiesto attraverso il sindacato, ma nulla, diniego anche stavolta. A noi non resta quindi che mantenere alta l’attenzione e proseguire nella causa legale per noi stessi, per i tifosi e per tutti quelli che ci sono stati vicini. Il nostro ripeto è un licenziamento ingiustificato, d’altronde risulterebbe difficile a tutti credere che l’Inter non possa permettersi di tenere tre lavoratori. La nostra battaglia può divenire un collante per la creazione di una coscienza di classe di lavoratori non sportivi che conduca ad una lotta comune. Il sentir comune di essere vittima di un’ingiustizia e di non avere tutele che possano dare dignità a chi ha lavorato per decenni con onestà e dedizione e che ora si trova a 50 anni a doversi reinventare in un mondo dove il contratto a tempo indeterminato è sempre più un miraggio”.

Francesca Tripaldelli

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