L’era delle multiproprietà: conviene davvero possedere più squadre?
Sono sempre più ormai al giorno d’oggi i patron che posseggono due, o in alcuni casi anche tre, squadre. Cosa che sino a svariate decadi fa poteva sembrare impensabile, l’era delle multiproprietà è sorta anche e soprattutto per la necessità da parte dei club di diversificare e ammortizzare costi e ricavi. Con più squadre, oltre come detto ai benefici economici, ne traggono beneficio anche giocatori e allenatori, con i giovani talenti che possono sicuramente crescere e maturare in maniera tranquilla e con tutto il tempo necessario.
Le regole Uefa impongono a tutti i livelli che le società siano indipendenti tra loro, sebbene i vari De Laurentiis, proprietario di Napoli e Bari, e Lotito, proprietario di Lazio e Salernitana, stiano lottando al fine di permettere di avere il doppio club nella stessa categoria al più presto possibile.
Un primo esempio di apertura alle multiproprietà nella stessa categoria lo si è avuto nel Settembre 2018 con il Red Bull Salisburgo e il Red Bull Lipsia che si sono affrontate nello stesso girone di Europa League. Il colosso dell’energy drink, onde evitare qualsiasi tipo di conflitto politico, ha ridotto la sua esposizione sul Salisburgo, riducendo il tutto ad una mera sponsorizzazione. Del resto l’obiettivo della Red Bull non è addentrarsi in qualsivoglia battaglia, ma semplicemente pubblicizzare la propria bevanda.
Una vera e propria holding che è ormai da tempo sbocciata e affermata è quella del City Football Group, per intenderci, i ricchissimi proprietari del Manchester City, che però oltre alla celeberrima compagine inglese, posseggono anche il New York City negli Stati Uniti, il Melbourne City in Australia, Yokohama Marinos in Giappone e Girona in Spagna. L’87% della proprietà è dell’Abu Dhabi United Group con lo sceicco Al Mansour a capo, mentre il restante 13% spetta al China Media Capital. Questa idea di voler sviluppare calcio a livello industriale fu interamente dovuta a Ferran Soriano, il quale, allontanato dalla Catalogna, fu chiamato da Mansour. Da subito il dirigente spinse forte per l’internazionalizzazione del club.

La versione però più conosciuta a livello italiano è quella della famiglia Pozzo. I patron dell’Udinese, resisi conto che con la loro politica di talent scout si sarebbero ritrovati una cospicua quantità di giocatori in rosa, decisero nel 2009 di diventare soci di riferimento del Granada, compagine che al tempo militava nella terza divisione spagnola, ma che negli ultimi anni è salita sino alla massima serie. Nel 2016 la società fu ceduta ai cinesi di Desports, ma l’esperimento piacque non poco, motivo per il quale la famiglia già nel 2012 rilevò le quote del Watford, all’epoca in Championship ma anch’esso riuscito poi a conquistarsi la massima serie. Il tutto rese possibili varie transazioni di mercato tra i due club e la società friulana.

In un’epoca storica in cui il marketing è fondamentale, sempre più squadre hanno preso la decisione di rilevare parte delle quote di club minori in giro per il mondo, sia per una maggiore visibilità sia per poter avere più giovani da testare sul campo: l’Atletico Madrid è azionista dell’Atletico San Luis in Messico, Ajax possiede in maggioranza le quote dell’Ajax Cape Town in Sudafrica mentre il Monaco ha rilevato interamente il Cercle Brugge in Belgio.
Vuoi per pure motivazioni di ammortizzamento economico, vuoi per mere operazioni di marketing pubblicitario, in un calcio ormai definitivamente globalizzato, le Multi Club Ownership sono e saranno sempre più parte integrante di questo mondo.
Salvatore Sabella