L’alba della nuova scuola norvegese

Nel corso della propria storia, il calcio norvegese ha sempre alternato generazioni di alto livello a momenti in cui il settore giovanile non sembrava ingranare. Uno dei motivi principali è dovuto al fatto che esso è un paese abbastanza piccolo, indi per cui è più che lecito che ci siano generazioni fortunate ed altre meno, considerato che ciò alle volte accade anche a nazionali ben più blasonate.
Uno dei momenti più gloriosi che la compagine scandinava abbia mai attraversato è quello del mondiale di Francia ’98, dove la loro corsa giunse sino agli ottavi, battendo anche i fenomeni del Brasile nella fase a gironi.
Da quel momento, i vichinghi hanno attraversato una sorta di fase di stand by, all’interno della quale i risultati sono stati tutt’altro che gloriosi. Tuttavia, la loro cultura per lo sviluppo dei talenti e del settore giovanile, hanno fatto si che la Norvegia, dopo poco più di vent’anni, sembrerebbe essere tornata a sfornare talenti di un certo livello, come possono esserlo i vari Haaland, Odegaard, King, Sorloth, Ajer, Thorsby della Samp o il neo gioiello del Milan Hauge.
D’altronde, dopo l’exploit islandese agli europei del 2016, queste nazionali sulla carta modeste, ma che spesso producono svariati giocatori talentuosi, hanno acquisito quella fiducia tale da poter permettere loro di fare il cosiddetto “colpo grosso” all’interno delle varie competizioni continentali e non.


La grossa peculiarità di questa generazione di campioni è che sebbene abbiano tutti al di sotto dei 25 anni (con il solo Sorloth, attaccante del Lipsia, ad essere del ’95), sembrano già essere più pronti e preparati dei loro predecessori come Haaland sr o il padre dello stesso Sorloth, il che fornisce loro un fascino non indifferente agli occhi del resto del mondo. Se magari Haaland ed Odegaard, militando in club più blasonati, hanno già avuto possibilità di mostrare fino in fondo le proprie capacità, tutti gli altri stanno attraversando ora il momento della definitiva fioritura, salvo il caso del giovanissimo Jens Petter Hauge che è appena approdato in un club importante come il Milan e necessiterà almeno di una stagione di apprendimento.


Eccezion fatta per Ajer, che milita in Scozia nelle fila comunque di una gloriosissima società come il Celtic, tutti gli altri citati in precedenza avranno la possibilità di mettersi in mostra sui prati dei cinque maggiori campionati europei, prendendo anche parte ad Europa e Champions League.
Il grosso vantaggio che fornisce un campionato modesto come quello norvegese è che non avendo i team a disposizione chissà quante risorse economiche tali da poter comprare giocatori importanti dall’estero, tendono a sviluppare con più cura e attenzione i vari settori giovanili, facendo debuttare senza eccessive pressioni i ragazzi poi in prima squadra.
Il vero e proprio motivo che ha dato il via alla nascita di questa (si spera gloriosa) generazione è riconducibile a fatti che per certi versi possono sembrare banali, ma che banali proprio non sono: l’ottima figura fatta, come detto, a Francia ’98, ha spinto moltissimi ragazzini negli anni successivi ad approcciarsi al mondo del calcio, inoltre, la federazione norvegese ha deciso di cavalcare l’onda del momento promuovendo il motto “Football for All”. I risultati sono stati evidenti agli occhi di tutti, nel 2018 erano circa 325.000 le persone che praticavano calcio nel paese.
Insomma, il futuro è tutto nelle loro mani.
Salvatore Sabella

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