La città servile: due pesi e due misure
La città servile: due pesi e due misure
Se fossimo furbi come si ritiene, non avremmo un romano presidente della squadra cittadina, un salernitano governatore della Regione Campania e le statue dei re stranieri a Piazza Plebiscito. Ed è per questo che il torto subito non dipende dall’entità dello stesso, ma dal potere di chi lo subisce.
Puoi offendere la città ripetutamente, minacciare i giornalisti di mettergli le mani addosso, strattonare due tifosi in due diverse circostanze, dire a una professionista che ti chiede del futuro di un calciatore che schiererai lei nuda, farà sempre molto meno rumore di qualche insulto a opera di singoli, che diventa automaticamente la cifra del “degrado morale” della città, mentre il resto è “cascione”, pure se è accaduto un mese fa.
Tutto il resto, no. Tutto il resto è accettazione bonaria nel nome di “si sa il presidente com’è” e a “presidente” puoi sostituire qualsiasi altro titolo che conti qualcosa e per i quali tutto è lecito. Napoli è una città servile nei confronti di ogni autorità, incluso quella informale della camorra. Non stupisce quindi che quelli che si ribellano allo stato di cose presente finiscono per diventare il nemico. Lo attaccano i padroni, ma soprattutto i cani, che arriveranno e continueranno a parlare degli insulti, derubricando quelli di ieri a dettaglio.
Esattamente, come i cani degli esperimenti di Pavlov. A riflesso condizionato.
Rosario Dello Iacovo
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