Il campionato inglese vale più della Champions League, l’Italia sta sempre a guardare …

  

Valore economico Premier League Champions. La notizia di ieri dell’accordo annunciato dall’agenzia Mp Silva & Partners che si è assicurata il diritto di distribuzione della Premier a 16 diverse emittenti su 35 canali in 53 Paesi in Europa, Asia, Africa e Oceania, per un totale di oltre 200 milioni di famiglie e circa un miliardo (calcolato molto generosamente) di nuovi, potenziali, tifosi apre il campo ad alcune considerazioni sul futuro dei rapporti di forza tra la Premier, la Champions League e gli altri campionati europei.

Un anno fa la Premier ha venduto i propri diritti tv per il mercato domestico a 6,9 miliardi di euro per il triennio 2016-2019. La Serie A si è fermata a 3,2 miliardi. Ieri abbiamo scritto del ritardo della Bundesliga, Cenerentola europea in tema di diritti tv.

Oggi come fa notare La Repubblica la vera differenza la Premier la fa sul mercato estero dal quale ricaverà qualcosa come 4 miliardi (la Spagna, il principale concorrente su scala mondiale, vende per 600 milioni), per un totale da 10,9 miliardi di euro, 3,6 a stagione.

Spiega Riccardo Silva, il proprietario della MP & Silva, oggi a Repubblica: «Senza dubbio, soprattutto fuori dall’Europa, la Premier League vale di più della Champions. Specialmente in America e in Asia». Quest’ultimo è il mercato chiave. «Qui i diritti della Premier vincono sulla Champions anche per un motivo di fasce orarie. Sono sei, sette, nove ore avanti, e quindi si gioca in prime time. La Champions invece arriva in piena notte. E questo incide molto sia in termini di diritti tv sia in termini di popolarità. Per questo motivo la Premier in Asia è spesso considerato un diritto domestico, un must have, un po’ come la Serie A in Italia».
Secondo Silva lo strapotere economico della Premier non necessariamente produrrà un mostro calcistico inglese. «In Inghilterra vige un meccanismo di redistribuzione interno abbastanza democratico, non si dà tantissimo alle più grandi e non si dà pochissimo alle più piccole; non credo dunque che vedremo un Manchester United o un Chelsea più forti di così, che del resto è impossibile. Mi sembra più probabile che le medio piccole diventino sempre più competitive. In fondo il fenomeno Leicester si può spiegare anche così». Un aspetto, questo, rilevato recentemente anche da CF – calcioefinanza.it.

A cosa porteranno questi equilibri? Poche brevi considerazioni.

Stando così le cose le squadre di Italia, Spagna, Germania e Francia dovrebbero essere maggiormente incentivate a creare una Superlega alternativa alla Champions League.

Ma per farlo i grandi club dovranno accettare di ridiscutere il loro status quo ed uscire dai campionati nazionali.

La prospettiva evidentemente sarebbe poco allettante per i club inglesi, che infatti spingono per una Superlega intesa come nuova formula della Champions che garantisca la presenza ai grandi club.
 

La prospettiva quindi è che la Superlega – eventualmente senza le squadre inglesi – diventerebbe alternativa alla Champions League. Una sorta di super campionato della Zona-Euro.

Lo stesso Silva, invece, qualche mese fa aveva delineato un ulteriore scenario possibile. Il punto centrale? Aumentare i big match tramite una super Champions League con 64 partecipanti, almeno sei da ognuna delle nazioni più forti.L’iniezione letale per i campionati nazionali? «Niente affatto – è l’opinione di Silva riportata da CF – calcioefinanza.it il 9 ottobre scorso – . Hanno valore, non avrebbe senso eliminarli. Ma tagliarli, sì: torniamo a 16 squadre, togliamone quattro. Cancellando otto partite, si userebbero quegli spazi per incontri con Manchester, Barcelona, Real. I primi a esultare sarebbero i tifosi».

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