Ecco il “modello Inglese” e i suoi creatori, ma la storia ci narra che nulla è cambiato…

 

  Emulare il “modello inglese” per combattere la violenza dentro e fuori gli stadi italiani. Secondo il presidente del Coni, Giovanni Malagò, i vertici del nostro Paese devono comportarsi così come fece l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher: «Basta vedere quello che ha fatto con gli hooligans, quello bisogna fare. Io non legifero, quindi auspico che questo avvenga», ha spiegato Malagò. La “Lady di ferro” – così come era ribattezzata la politica morta l’8 aprile del 2013 – è ricordata per aver adottato una serie di provvedimenti, a partire dalla metà degli anni ’80, per rispondere alle violenze delle frange più estreme del tifo inglese. In realtà, se parte dei media hanno etichettato come una soluzione “vincente” il “modello Thatcher”, un’altra parte dell’opinione pubblica resta ancora oggi scettica, sottolineando anche le differenze tra i fenomeni in Italia e Gran Bretagna. Non senza spiegare come la formula “thatcheriana” sia stata idealizzata con retorica, senza approfondire troppo. E accusando la “Lady di ferro” di essersi limitata a portare avanti insufficienti provvedimenti repressivi.
Margaret Thatcher violenza stadi 2

Photocredit: Getty Images

IL MODELLO THATCHER E LE VIOLENZE NEGLI STADI – In Inghilterra il fenomeno della violenza negli stadi raggiunse il suo apice nella seconda metà degli anni ’80. Con incidenti tra ultras inglesi e forze dell’ordine, a volte finiti tra le violenze e in disastri avvenuti in stadi pericolosi e obsoleti. Dopo i 39 morti della tragedia dell’Heysel del 29 maggio 1985 – avvenuta però sotto giurisdizione belga, essendo stato disputata a Bruxelles – , poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool , Thatcher si affidò alla repressione. Oltre a decidere di ritirare a tempo indeterminato i club inglesi dalle competizioni europee. In quell’anno fu emanato lo Sporting Events Act, che limitò la possibilità di acquistare e consumare bevande alcoliche all’interno degli impianti sportivi, così come nei pullman e nei treni che trasportavano i tifosi. Poi, nel 1986, fu la volta della “prima legge sul calcio”, con l’adozione del “Public Order Act“. Attraverso questo provvedimento fu permesso alla magistratura di vietare l’ingresso negli impianti sportivi di tifosi considerati violenti, stabilendo per questo l’obbligo di firma nei comandi di polizia. Furono poi puniti come reato anche quei comportamenti considerati “allarmanti”, anche se non violenti. Ma comunque ritenuti in grado di turbare la quiete pubblica.

L’ANNO DI SVOLTA: IL 1989 E LA TRAGEDIA DI HILLSBOROUGH – L’accelerazione si è avuta però nel 1989, dopo la strage di Hillsborough del 15 aprile 1989, considerata la più grave nella storia dello sport britannico: 96 tifosi del Liverpool morirono a Sheffield, nella semifinale di Fa Cup tra i “Reds” e il Nottingham Forest, schiacciati e soffocati nella calca. Furono accusati i tifosi defunti di quanto avvenuto. Soltanto 23 anni dopo la tragedia, nel settembre del 2012, il premier David Cameron si scusò con le famiglie delle vittime, dopo che furono desecretati gli atti ed emersero le responsabilità dirette della polizia, che tentò di occultare le prove. Il governo conservatore di Margareth Thatcher era nell’89 già quasi in pensione. Sul Manifesto, fu lo storico britannico John Foot a bocciare il modello Thatcher, con un articolo realizzato nel 2007:
«Tutti i tifosi iniziarono ad essere trattati come dei criminali. Negli stadi, alcuni già vecchi e pericolosi di loro, furono erette barriere di metallo. Qui, in spazi strettissimi, venivano relegati i tifosi. Seguire la propria squadra in trasferta era diventato come stare in uno zoo. L’esperimento non ebbe successo. E fu purtroppo una tragedia a sancirne il fallimento. Il 15 aprile 1989 era in programma la semifinale della FA cup tra Liverpool ed Nottingham Forest. Si disputava in campo neutro, a Hillsborough (Sheffield). I tifosi del Liverpool arrivarono in ritardo e furono concentrati su una di queste gradinate strette e recintate. Quella volta non si trattò né di scontri né di violenza, ma 96 persone, tra cui molto giovani, rimasero schiacciate contro le barriere di metallo. Lo spazio era troppo stretto. Fu una cosa orribile. Una grande tragedia che segnò per sempre la vita di migliaia di persone», scrisse.

Nello stesso anno fu commissionato il Taylor Report, l’inchiesta che doveva chiarire le responsabilità su quanto accaduto e sui problemi del sistema calcio britannico. Ne seguirono due rapporti – uno intermedio, sempre nel 1989, e uno definitivo, dell’anno seguente. Nello stesso anno della tragedia fu approvato il Football Spectators Act, con il quale fu stabilita la possibilità di imporre il divieto a partecipare a eventi sportivi all’esterno del territorio inglese e del Galles per le persone condannate per reati legato alle partite di calcio. Ma non solo: si stabilì che per entrare negli stadi fosse necessario un documento di identità. Contro gli hooligans fu creata anche una squadra speciale, interna a Scotland Yard: la National Crime Intelligence Service Football Unit. Poi, dopo la fine dell’esperienza Thatcher come primo ministro, gli inglesi continuarono però ad adottare provvedimenti in merito. Come nel caso del Football Offences Act: nel 1991 fu così permesso alla polizia di arrestare e far processare per direttissima i tifosi, anche soltanto in casi di violenza verbale, così come per episodi legati all’uso di un linguaggio osceno o per cori di stampo razzista. Diversi furono i pacchetti legislativi anti-hooligans. Tra gli ultimi, nell’ agosto 2000, in seguito alle violenze degli inglesi dopo i campionati Europei in Belgio e Olanda, il controverso e discusso «Football (Disorder) Act». Accusato come “liberticida”, anche se approvato dai laburisti: prevedeva che la polizia potesse togliere il passaporto a un sospetto hooligan prima di una gara internazionale. Negli anni ’90 si cominciò a riempire gli stadi con le telecamere a circuito chiuso: in caso di incidenti, era possibile riconoscere i violenti, arrestarli e comminare loro pene detentive pesanti. Ma non solo: le società vennero obbligate a ristrutturare gli stadi con un investimento di 350 milioni di sterline per la modifica degli impianti, con l’eliminazione delle barriere tra il campo di gioco e la tribuna. Da allora gli stadi dovevano prevedere soltanto posti a a sedere numerati, con la costruzione dei seggiolini in ogni settore. I tifosi dovevano così restare seduti per l’intera gara. Fu anche decisa la capienza di almeno 20mila posti, possibilmente dotati di box privati. Si optò anche per la responsabilizzazione delle società di calcio, alle quali venne da allora affidata la sorveglianza all’interno degli impianti. Tutto attraverso la presenza di stewards privati, retribuiti direttamente dai club, in collegamento via radio con la polizia presente solo all’esterno degli impianti. Fu anche deciso il divieto per le società di avere rapporti con i propri tifosi, se si esclude la collaborazione finalizzata a prevenire possibili incidenti.
“L’URSS è governata da una dittatura paziente, uomini decisi e lungimiranti che stanno rapidamente facendo il loro paese la prima potenza navale e militare del mondo. Non stanno facendo questo esclusivamente per motivi di autodifesa. Un enorme paese come la Russia, in gran parte privo di sbocchi sul mare non ha bisogno di costruire la flotta più potente del mondo a guardia dei propri confini. No. I russi sono decisi a dominare il mondo, e stanno rapidamente acquisendo i mezzi per diventare la nazione imperiale più potente che il mondo abbia mai visto. Gli uomini del Politburo sovietico non devono preoccuparsi per il flusso e riflusso della pubblica opinione. Hanno messo le pistole prima del “burro”, noi abbiamo invece messo quasi tutto davanti alle pistole. Sanno di essere una super potenza in un solo senso, il senso militare. Loro sono un fallimento in termini umani ed economici” The Britain Awake, 19 gennaio 1976
I DETRATTORI DEL MODELLO THATCHER – Non mancano però anche i detrattori del cosiddetto “modello thatcheriano”, tra chi sostiene che la “vittoria” della “Lady di ferro” contro gli hooligans sia soltanto un “falso mito“. E che le misure repressive da lei adottate siano state in realtà insufficienti: «La signora Thatcher non ha avuto nulla a che fare con la sconfitta degli hooligans in Inghilterra. Odiava il calcio (come rivelò poi il suo ministro Clarke,ndr) e non ne capiva granché. Lei era parte del problema, non della sua soluzione», spiegò sul Manifesto lo storico John Foot. Non senza bocciare le misure repressive adottate e ricordando come, per seguire l’esempio inglese, il nostro Paese dovrebbe prima capire di cosa si tratta. «Inutile introdurre gli steward se non si cambiano le curve e non si eliminano le recinzioni. C’è bisogno di stadi dove il pubblico possa vedere e sentire la partita come esseri umani, non animali. Ci vuole tempo. Ricordandosi che la signora Thatcher non c’entra nulla», spiegò. Lo stesso Foot, in un’altra intervista, chiarì anche come la situazione in Italia fosse differente:
«Le curve italiane sono sempre più piene di malattia politica, business e mafia. Penso all’infiltrazione dell’estrema destra, alla criminalità organizzata. Non so quale sia la soluzione: la mancanza di legge in curva va avanti da troppo tempo ma non è una cosa che si può imporre con la forza. Intanto si potrebbero spezzare davvero i legami tra club e ultras»

Altri hanno sottolineato come le misure adottate dalla Thatcher siano servite soltanto per togliere dai riflettori la violenza, spostata all’interno dei pub e lontano dalle televisioni. Ma la “Lady di Ferro” è stata accusata anche di aver privatizzato il football, rendendolo uno sport elitario e allontanando dagli stadi la “working class”. Non più uno sport espressione delle classi popolari, bensì della borghesia in ascesa negli anni ’90. Non senza attaccare le misure repressive della Thatcher, considerate a loro volta causa della rabbia degli hooligans negli stadi. In occasione della morte dell’ex primo ministro britannico, la Football Federation decise di non prevedere un minuto di silenzio per onorarne la memoria, in occasione delle partite della Premier League. Forse temendo contestazioni per una premier conservatrice, mai amata dai tifosi di calcio e dalla working class britannica.

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