Dubbi e paradossi: ecco perché il Fair Play Finanziario all’italiana non convince

  
Fair Play Finanziario Serie A, dubbi e paradossi non mancano. Le nuove norme per controllare le spese delle squadre della massima serie, infatti, lasciano più di un punto interrogativo, soprattutto sulla reale utilità.

Il funzionamento, in fondo, è semplice, come abbiamo già spiegato: non si possono superare i costi, c’è l’obbligo del pareggio di bilancio. Poi però le postille non mancano.
Quella più importante, ovviamente, resta la deviazione accettabile, cioè quanto ogni società potrà sforare. Non una cifra esatta, come succede per il FPF Uefa, ma pari al 25% della media del valore della produzione dei tre esercizi di riferimento. Norma che apre i primi dubbi, visto che sembrano chiaramente avvantaggiate le big.
Basta prendere come esempio la Juve, cioè il club con i ricavi maggiori in Italia: facendo la media delle ultime tre stagioni, potrebbe permettersi un rosso di 80 milioni, senza per questo venire punita. Certo, poi dovrebbe rispondere al Fair Play europeo, ma finché non si qualifica ad una competizione continentale ha ampissimo spazio di manovra. L’Uefa ha un limite, e quello deve essere rispettato, che i ricavi siano da 500 milioni o da 100: una scappatoia in meno, rispetto all’Italia.
Fair Play Finanziario Serie A, la deviazione accettabile
Pure superando la fatidica quota 25%, però, resta spazio per agire con libertà. Lo sbarramento successivo, infatti, è quello del 50% del fatturato: se il deficit supera la metà della media dei ricavi, arriva il blocco del mercato. Se il rosso va oltre il 25% ma resta entro il 50%, però, non ci sono problemi: basta ripianare la perdita.
Una bella differenza con quanto imposto dall’Uefa. Certo, da una parte potrebbe favorire gli investimenti anche per le piccole con presidenti più facoltosi (che poi possono comunque ricapitalizzare senza incorrere in problemi), dall’altra sembra una barriera relativamente fastidiosa: qualcuno si potrebbe permettere Messi restando comunque nell’ambito della legalità. Basta metterci i soldi. Un paradosso non da poco, per norme che dovrebbero agire sulle spese dei club.
L’impressione generale è che siano diversi i punti di partenza dei due FPF: in Europa si vuole garantire un equilibrio delle spese, in Italia sembra più una questione di soldi e solvibilità, cioè si vuole essere sicuri che i patron abbiano le finanze per garantire le spese. In sostanza, l’obiettivo è evitare che si presentino nuovi casi Manenti/Parma: ogni presidente deve avere le spalle ben coperte. Basterà?

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