Club-Nazionali, un flipper impazzito sempre più tossico per il calcio mondiale

“Queste cretinate delle convocazioni in nazionali, sono mancanza di rispetto per i club. Ai tifosi delle nazionali interessa fino ad un certo punto”. Sono queste le più recenti invettive che il patron del Napoli ha scagliato contro gli organi governativi del calcio in tema di partite delle nazionali durante il periodo pandemico. Di fatti, i dati dimostrano che c’è un disinteresse sempre maggiore nei riguardi di queste partite: la roboante vittoria per 6-0 nell’amichevole contro la Moldova, ha eguagliato il dato della sfida con l’Armenia nel match valido per le qualificazioni ai prossimi Europei che era stata seguita da 3.766.000, ma, poiché trasmessa di pomeriggio è riuscita, persino, ha ottenere uno share maggiore, pari al 28,40%; è presumibile che la prestigiosa amichevole, in data 11 novembre, contro l’Estonia e le seguenti sfide di Nations League contro Polonia e Bosnia Erzegovina, proseguano tale trend negativo.
Di recente, il tema è tornato in auge poiché la finestra di novembre per le nazionali non è stata sospesa e ciò ha generato forti polemiche soprattutto per i rischi generati dal c.d. ‘Covid – 19’, in quanto gli spostamenti dei calciatori in altri Paesi nonché gli ovvi contatti con calciatori di altre squadre innalzano esponenzialmente i rischi di contagi.
Per vero, il tema della partenza dei giocatori, percepito ormai quasi come una concessione da parte dei club, non è stato trascurato dalla FIFA che, secondo delle nuove disposizioni in vigore per tutto il 2020, ha così stabilito: “l’Ufficio di presidenza del Consiglio FIFA ha inoltre approvato diversi emendamenti temporanei al Regolamento sullo status e il trasferimento dei giocatori. Nel prendere questa decisione, l’Ufficio ha preso in considerazione il ruolo che il protocollo FIFA svolgerà nella mitigazione dei rischi legati al COVID-19 e nell’ottenere le esenzioni richieste dalle autorità per gli sportivi che viaggiano a livello internazionale ai fini delle partite con le loro squadre nazionali”. Tuttavia, vi sono alcune deroghe che obbligano il club di consentire al giocatore di rispondere alla convocazione della propria nazionale, salvo che:
• non sia previsto un periodo di quarantena obbligatorio di almeno 5 giorni dall’arrivo nel luogo, ove ha sede il club che ha l’obbligo di concedere il giocatore al club o dove deve essere disputata la gara in cui sarà impegnato il giocatore;
• ci siano restrizioni nei viaggi da o per il luogo dove deve disputata la gara e non ci sia nessuna specifica esenzione o protocollo alleggerito per i giocatori della nazionale.
Orbene, proprio la regola della Fifa che dà la possibilità di negare il placet a quei calciatori che per disputare le competizioni si devono recare in Paesi a rischio, dove al rientro in Italia avrebbero obbligo di quarantena per almeno 5 giorni, potrebbe giovare al Napoli; infatti, ad esempio, il via libera alla convocazione in nazionale, potrebbe essere negata ad Elmas che gioca con la Macedonia del Nord e Rrahmani per il Kosovo, e il d.s. Giuntoli ha definito come “inopportuno” mandare i calciatori a disputare tali match.
Il fronte dei “no” è molto ampio sia in Italia che in UE: il d.s. dell’Inter, Beppe Marotta ha usato, nuovamente, parole dure contro le Nazionali, invocando l’intervento del ministero dello sport contro una situazione capace di alterare la regolarità delle competizioni; anche in Europa, squadre come il Werder Brema e dell’Arminia Bielefeld, sarebbero propensi a negare il permesso di giocare con le nazionali ai propri tesserati.
La sfida pare ardua perché, per la FIFA, istituzione sovra internazionale nonché l’elemento di vertice della piramide mondiale del calcio organizzata in 211 federazioni nazionali e sei confederazioni continentali, che ne hanno espanso il potere, le nazionali di calcio sono il mezzo per organizzare Campionati mondiali che, insieme alle Olimpiadi, sono la rassegna organizzata di sport e spettacolo capace di far convergere i differenti interessi economici delle multinazionali e di attirare tutti i mass media. I Mondiali di calcio permettono ad un Paese che cerca affermazione, riconoscimento e credibilità di mettersi in mostra, consentendo, di contro, alla FIFA di attuare i propri programmi di sviluppo politico ed economico i nuovi mercati calcistici. Invero, gli ultimi tre Mondiali si sono tenuti in paesi Brics – acronimo, utilizzato in economia internazionale, che individua cinque paesi (Brasile, Sudafrica, Russia, India e Cina) accomunati da alcune caratteristiche simili, tra le quali: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e sono stati caratterizzati, nell’ultimo decennio, da una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale – Sudafrica, Brasile e Russia, mentre l’edizione del 2026 verrà probabilmente assegnata alla Cin, senza dimenticare la dibattuta assegnazione del 2022 al Qatar, avente sia l’obiettivo di conseguire il consenso dei paesi emergenti, sia all’interesse verso nuovi mercati potenziali. Viene da chiedersi se, anche in virtù degli ascolti e delle attenzioni dei tifosi, non solo le amichevoli ma addirittura i Mondiali abbiano il fascino di una volta. Essi sono espressione di un concetto di identità nazionale che dovrebbe far vivere l’esaltazione delle spirito della Patria, dello Stato e del proprio essere che, però, in una società sempre più fluida e arricchita da varie etnie non paiono manifestarsi se non in leggendarie origini identirarie che si scagliano contro i propri connazionali ‘oriundi’, senza dimenticare l’acredine e le umiliazioni che alcune tifoserie ricevono durante il campionato che fanno si di cementare l’unico vero amore versa la maglia della propria città.
Perché l’Italia è stata fatta, ma dal 1861 fratelli di nessuno.

Salvatore Sardella

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