Calcio e politica: un teatrale sodalizio.

Il calcio è diventato una cosa seria: investimenti, business plan, ottimizzare le strategie di marketing, migliorare il sistema competitivo che è composto non solo dalla concorrenza diretta, ma anche dai fornitori, dai clienti, dai potenziali nuovi entranti e dalle aziende offerenti prodotti sostitutivi e, infine, avere coscienza delle volubili aspettative dei tifosi per renderle concrete e trarne un reciproco beneficio. Insomma, è arduo e appare più facile e proficuo dedicarsi alla politica.
Basta con i temporeggiamenti della democrazia dovuti alla sua essenza mediatrice finalizzata a raggiungere l’interesse comune,occorre che la politica sia chiara, semplice, capace di offrire soluzioni rapide, che chiudano la questione rifuggendo le grandi discussioni. Nel tempo questo modo di affrontare le questioni, ancora prima dell’indicare le soluzioni ai problemi, porterà ad una sicura affermazione della demagogia inefficace e fasulla. Ci affidiamo a chi sproloquia, mette in atto scenette con un linguaggio quasi da macchietta ma che poi le questioni le lascerà alla lunga irrisolte nonostante, nell’immediato, si crede che qualcuno decide, presto e bene. La politica è incentrata su ciò che è “ora”, su un accecante individualismo che limita uno sguardo lungimirante verso l’orizzonte privandosi di ogni progetto stabile e realmente illuminato.
In tale contesto, l’endorsment appare necessario: Aurelio De Lurentiis diviene Totò, imbraccia il megafono del nuovo millennio (il social Twitter) ed annuncia a gran fiato di votare Vincenzo De Luca, l’uomo della Provvidenza. Per vero, la sua sponsorizzazione non rappresenta più una novità, giacché aumenta il numero dei personaggi noti che appoggiano il politico di turno e che il calcio italiano ha già il suo precedente storico ben noto; tuttavia il messaggio postato da De Laurentis è grave, non solo perché viola il silenzio elettorale (articolo 9 della legge 202/1956 poi ritoccato nel 1975 che commina pure una sanzione pecuniaria), ma anche e soprattutto perché non esprime un suo legittimo parere personale bensì lo fa da Presidente della Società Sportiva Calcio Napoli. Dunque, estende il contenuto del suo messaggio attribuendolo di riflesso a tutta la società sportiva nonché i tifosi che rappresenta, palesando, nuovamente, in maniera inequivocabile, la visione personalistica e paternalistica della società.
Un sostegno aperto e deciso di affinità elettive, consolidatosi nel tempo e rafforzatosi con le Universiadi del 2019 con i lavori di ristrutturazione del San Paolo, che spiccavano come una luccicante medaglia sul petto di De Luca, per una somma di circa 25 milioni di euro, capaci di restituire un aspetto decisamente migliore allo stadio e di porre fine alla sterile diatriba tra il Presidente della società e le Autorità cittadine. Ed ancora, il patron già durante il ritiro aveva più volte lanciato segnali di necessità di una “grande apertura degli stadi” e di non continuare a fare “autogol”; insomma, non avendo la sfera di cristallo, prima si esponeva apertamente, e poi rimarcava l’alleanza con il tweet per stipulare eventuali accordi circa la riapertura dello stadio.
Da un differente punto di vista, tentando di essere meno sentimentali e più pratici, il messaggio non pare ritenersi del tutto errato poiché un’azienda ha bisogno del sostegno ininterrotto delle Istituzioni per ciò che attiene allo stadio, ai permessi, alleconcessioni, all’aumento dei trasporti per le partite in notturna e il controllo della pubblica sicurezza. Quindi, la dichiarazione potrebbe non risultare impropria ma quasi necessaria, dovuta ad un equilibrio per salvaguardare e per far in modo che l’azienda possa trarne dei vantaggi.
Certo, repetita iuvant, farlo a titolo personale sarebbe stato doveroso, ma il sodalizio tra l’”uomo di cinema” e il cabarettista può genere interessanti spettacoli.
Salvatore Sardella