Calcio e politica ? No, grazie

Dall’inizio dei tempi, il giuoco del calcio rappresenta un momento di integrazione, unione, svago e felicità. La domenica sugli spalti il “tifoso” libera la propria mente, lasciandosi andare ad una serie di emozioni e sentimenti che viaggiano ad una velocità incredibilmente veloce. Il connubio tra calcio e tifosi è un legame indissolubile, complementare, coeso. Non è un caso se, con le conseguenze della pandemi, il mondo che ruota attorno al pallone ne ha ampiamente risentito, modificandosi ed adattandosi ad una dimensione completamente nuova in scenari mai accaduti precedentemente. 

Ma quello che è uno sport millenario, giocato da qualunque persona in qualsiasi situazione ed occasione, non può subire modifiche radicali che lo mutino direttamente al suo interno: è il caso dell’integrazione ostinata tra calcio e politica, ovvero quel costretto processo che porta i potenti uomini politici a propagandare le proprie idee e concetti attraverso uno sport che appartiene alle persone. Il calcio è altro.

Quando si parla della dicotomia tra politica e calcio non si intende quel mondo, quasi universo, che si cela dietro trattative, commissioni, movimenti finanziari e tanto altro ormai insito e prevalente nel mondo calcistico. Sappiamo tutti che i soldi hanno un potere inestimabile e chi più possiede più comanda. Ma questo tipo di discorso è differente da quello che impone a giocatori, staff e tifosi di rappresentare il momento politico o il movimento social politico attuale. Ci riferiamo alle tante iniziative proposte da chi con il calcio ha pochissimi rapporti: inginocchiarsi prima del fischio d’inizio, colorare lo stadio arcobaleno, creare risse e portare sugli spalti discorsi politici. Tutto ciò è sicuramente un modo di sensibilizzare tutte le persone (visto il seguito che una partita di calcio possiede) nel modo più semplice possibile, ma obbligare professionisti durante il loro “turno” di lavoro è abbastanza ridicolo. Soprattutto se tutto ciò porta a lesioni interne allo spogliatoio o a lotte sugli spalti come già accaduto in passato. Il calcio è dei tifosi, appartiene sovranamente al pubblico, che vuole divertirsi e lasciarsi a casa situazioni politiche e sociali senza ritrovarle addirittura in campo. Non è con un gesto di 11 uomini o con uno striscione che si cambia il mondo e questo probabilmente non verrà mai inteso da chi guarda al mondo dello sport ed in particolare a quello del calcio in maniera ipocrita e al solo scopo di lucro.

Daniele Rodia

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