“A faccia”: il documentario sul Murales di Maradona ai Quartieri Spagnoli

Salvatore Iodice è un falegname. Ha la sua bottega nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Salvatore è un uomo pieno di iniziativa. Usando materiali di scarto costruisce fantasiosi cestini dell’immondizia personalizzati per i negozi e le botteghe del rione, cartelli informativi per i turisti o panchine per gli anziani. Cerca così di rendere il suo quartiere un posto migliore.
Ma non è solo. I Quartieri Spagnoli sono abitati da persone che, con il loro lavoro quotidiano, l’educazione, la cultura e la solidarietà, realizzano il progresso e la comunione sociale. Dall’Orchestra Sinfonica dei Quartieri Spagnoli, composta dai bambini del quartiere, fino alla palestra di Karate di Karen Torre, ricavata nella cappella barocca di una chiesa, l’opera di Salvatore è sempre presente e ci guida in un viaggio attraverso questa vitale parte della città di Napoli, che si sta imponendo come un importante laboratorio di futuro, svincolandosi dalla reputazione che per decenni l’ha penalizzata.
Tra i vicoli dei Quartieri, Salvatore è pronto alla sua più grande iniziativa. Tutto il rione accorre per vedere. Con vernice e pennelli si appresta a ridare la faccia ad un famoso “monumento” popolare dei Quartieri Spagnoli, il murale di Maradona. Questo è il documentario che lo racconta.

Abbiamo il piacere di intervistare l’autore di questo documentario: il regista Fabrizio Livigni.

Dottor Livigni, inizierei col chiederle cosa l’ha spinto a realizzare questo lavoro?

La storia inizia nel novembre del 2015, periodo in cui mi capitò di leggere un articolo in cui si parlava di Salvatore Iodice, un piccolo artigiano della riciclArte: prendeva del legno dalla spazzatura e ci lavorava costruendo piccole opere utili nel quotidiano. Salvatore aveva questo progetto ambizioso e affascinante, cioè quello di ristrutturare la faccia del Murale di Diego Armando Maradona ai Quartieri Spagnoli, ormai deteriorata dal tempo. Quindi da tifosissimo del Napoli trasferitosi a Roma, sommerso dagli insulti degli amici sin da piccolo, Maradona rappresentava rivalsa, arma di difesa, e mi sono detto che non potevo non raccontare questa splendida storia. 

Facendo parte ormai da anni di un gruppo in curva, la “Balconata Zerazzero”, ebbi modo di conoscere Salvatore e capii subito che per iniziare il lavoro aveva bisogno di una piccola colletta per il materiale. Una sorta di raccolta fondi che fu realizzata nel giro di due ore grazie ai ragazzi in curva.

A tal proposito, le chiedo di raccontare questo aneddoto sulla colletta in curva: a Parola del Tifoso abbiamo molto a cuore la tematica dei pregiudizi verso i ragazzi della curva. 

Certo, l’aneddoto è proprio questo: nel gruppo della Balconata c’è un ragazzo, Fabrizio Tammaro, nato ai Quartieri Spagnoli, mi diede modo di conoscere Salvatore che mi parlò di questa iniziativa. Serviva però una piccola colletta per ultimare gli acquisti del materiale necessario. Appena venne nominato Maradona come movente della colletta, nel giro di 2 ore i ragazzi in Curva riuscirono ad accumulare la somma necessaria per iniziare l’opera di ristrutturazione. 

Avendo poi avuto modo di conoscere Salvatore nei mesi prima dell’inizio dei lavori, mi resi conto dell’energia che alimentava i Quartieri Spagnoli, le persone che ne facevano parte: le due storie mi parevano legate e mi sembrava giusto raccontarle entrambe.

Sono assolutamente d’accordo. Lei riferendosi al quartiere parla di ‘potenziale pazzesco’. Volevo chiederle proprio perché questo specifico Murale e non altri, come quello di Jorit ad esempio. 

Parliamo innanzitutto di storicità. Il Maradona di Jorit è già leggenda, costituisce già l’eroe mitologico dei giorni nostri, il Maradona dei Quartieri Spagnoli è uno degli ultimi ricordi tangibili di quei giorni fantastici: fu Mario Filardi l’artista ideatore di questo Murale dopo il secondo Scudetto, e Salvatore aveva deciso proprio di seguire le sue orme. L’importanza di questo Murale oggi è enorme: è diventato il simbolo di questa città riconosciuto nel resto del mondo, una realtà difficile degli anni ‘80 post terremoto in cui Diego ha significato riscatto.

L’altra domanda è questa: tralasciando il fatto che oggi ormai quest’opera è divenuta una sorta di museo, quasi un memoriale di Maradona, si potrebbe fare qualcosa in più dal punto di vista dell’attrattiva del Murale? 

O’cantier quattro anni fa era un parcheggio abusivo, oggi è invece una sorta di Piazzetta degli artisti. La faccia ricostruita da Salvatore fu poi modificata dall’artista argentino arrivato a Napoli per l’opera della Pudicizia presente alla Cappella San Severo. 

Per certi aspetti la situazione è un po triste, è pur vero però che, pur essendo un qualcosa di disordinato, è giusto così: l’opera rientra proprio nella descrizione della vitalità di Napoli, perché la città è proprio questa: si mastica e si risputa, vive da secoli di sé stessa per cultura, musica, cucina. 

Se c’è una maniera in cui il Quartiere può continuare il processo di rilancio, è proprio quello visto 4 anni fa: aprirsi, aprire le porte a turisti, iniziative, a stretto contatto con le persone del quartiere, soprattutto con l’aiuto delle Istituzioni.

A proposito di cultura, di cui i Quartieri rappresentano un micro mondo che descrive bene tutto quello che si respira nel resto della città, mi ha molto colpito la lettera che legge Salvatore nel documentario: cultura significa soprattutto costruire una panchina per far riposare un vecchietto nella risalita verso casa. È una cultura degli umili? 

È quello che dovrebbe essere la politica operante sul territorio, quella più efficiente a stretto contatto con le persone. Salvatore nel suo discorso elettorale ha perfettamente ragione: quella è l’unica ricetta con cui il quartiere può salvarsi. Pensare che esistano altre persone intorno a noi e utilizzare lo strumento della solidarietà, l’aiuto verso il prossimo. È questa la cultura.

Il documentario inizia con la musica del maestro d’orchestra Mallozzi e finisce allo stesso modo: l’ha immaginata come una sorta di concerto? 

Si tratta prevalentemente di un concetto cinematografico, chiamato tecnicamente ‘osservazionale’: una forma di documentario molto antica e semplice. La macchina da presa è sempre ferma, i suoi movimenti assumono maggior significato. Assumo un punto di vista, non intervengo mai, rappresento la realtà. 

Il progetto di questo documentario era leggermente diverso: volevo raccontare il rapporto tra Salvatore e Ciro, il proprietario della finestra su cui è presente la faccia di Maradona. Volevo descrivere il consenso di Ciro, la semplicissima realtà dei fatti. All’inizio delle riprese, però, Ciro si vergognò e io cambiai in corso d’opera la forma del documentario, mantenendo sempre salda la scelta politica di inquadrare la realtà senza mai intervenire. 

Il lavoro dunque una volta arrivato al terzo grado di linguaggio, che è quello del montaggio, assume una sua forma, in questo caso circolare.

Prendo spunto dalla frase finale di Eduardo: è questa la realtà di Napoli? 

Sì, Eduardo parla di gente che scende per strada senza cuncierto e sa recitare: le persone di questa città sanno vivere, trovano sempre il modo. 

Dottor Livigni la ringrazio infinitamente per aver presentato in questo modo una realtà spesso descritta come degradata. 

È proprio questo l’obiettivo dell’opera: mostrare che a Napoli c’è gente che lavora, si aiuta, è felice. Questa è la vera Napoli, di cui si dovrebbe parlare.

Il film è stato proiettato in anteprima mondiale al Bellaria Film Festival nel maggio del 2017; successivamente ha partecipato ad altri importanti festival tra i quali Napoli Film Festival 2017 e Ischia Film Festival 2017.

Titolo originale: A FACCIA
Regia: Fabrizio Livigni
Sceneggiatura: Fabrizio Livigni, Severino Iuliano
Fotografia: Gianluca Sansevrino
Montaggio: Severino Iuliano, Adriano Patruno
Produzione: Redigital snc
Paese: Italia
Anno: 2017
Durata: 53’

Luca Linardi

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