Le coreografie al San Paolo? Solo a Napoli frutto di sacrifici e auto-finanziamenti delle Curve

Spesso i nostri occhi vengono affascinati dalle coreografie che vengono fatte allo stadio, in particolare dalle curve.

Dobbiamo sottolineare come la stragrande maggioranza delle coreografie vengano sovvenzionate dalle società come avviene a Milano, a Barcellona, a Madrid, a Dortmund.

Napoli non fa parte di questo “giro” fortunato, Napoli per l’ennesima volta è protagonista di un qualcosa di incredibile.

Le curve azzurre, la “A” e la “B”, non sono convenzionate da nessuno e di tasca loro, attraverso idee uniche, rendono il San Paolo stupendo.

Ricorderemo tutti la coreografie dedicata a Ciro Esposito, quella del Vesuvio , del Ti amo, del Castello dell’ovo, stupende ed uniche , sovvenzionate solo ed esclusivamente dalle tasche degli ultras.

Questi sacrifici fanno innamorare, danno un senso ad un pallone sporco e corrotto dove chi ama i propri colori visceralmente deve farsi da parte. Le coreografie del San Paolo hanno un’anima, dei capolavori artistici che danno un senso di maestosità. Quando poi sono accompagnate dall’urlo azzurro scaturito dall’Inno della Champions League, la magia si trasforma in un racconto epico, come se fosse il segnale dato ai calciatori per scatenare l’inferno in mezzo al campo. E il Napoli, nel recente passato e nel presente, ha dato modo di offrire a telespettatori e addetti ai lavori uno spettacolo di volta in volta irripetibile. Tanto da dire che il successivo è più bello del precedente nonostante siano già state raggiunte vette altissime di imponenza.

È opportuno sfatare un tabù prima di cadere nel qualunquismo e nella falsa scandalizzazione: quasi tutte le coreografie di tutto il mondo – di certo la stragrande maggioranza – realizzate dalle curve di tutti gli stadi a prescindere alla latitudine, sono in minima o in gran parte finanziate dai club. Non è un mistero che le aziende produttrici di materiali per i tifosi ricevono commissioni direttamente dal settore marketing delle varie società di calcio. Negli ultimi tempi, nel coinvolgimento allo spettacolo in essere negli impianti sportivi, società e tifo organizzato chiamano a raccolta perfino sponsor e aziende terze, le quali volentieri contribuiscono al fine di un invitante ritorno d’immagine.

In casa Napoli la situazione è diversa, ma va fatta una doverosa premessa. Il termine ultras è un insieme di connotazioni culturali e, a livello sociolinguistico, non deve essere visto soltanto e doverosamente nella sua accezione negativa, in quanto si tratta di rivendicazione identitaria caratterizzato dal forte senso di appartenenza alla propria squadra con dimostrazione calorosa e coreografica, ma non violenta. I violenti risiedono in ogni dove e non hanno fede calcistica, popolano anche lo strato sociale e il settore più impensabile dello stadio stesso.

Il tifo organizzato azzurro sostiene la propria squadra, i calciatori e l’allenatore attraverso sia l’autofinanziamento, sia le collette e altri tipi di merchandising. Ad oggi non vi è un contributo finanziario diretto o indiretto da parte della società. Giusto o sbagliato che sia, è un dato di fatto sì da analizzare, ma non da giudicare se è in appoggio a una comunità nel modo più legale e pulito. A noi spetta il dovere morale e civico di raccontare una realtà di cui siamo testimoni diretti, da rendere semplice nella traduzione, nella comprensione e nella diffusione verso i lettori e i followers, tifosi e semplici appassionati. Se ci mettessimo a pontificare, a sfornare ogni giorno pareri e opinioni come se fossimo depositari unici di una verità assoluta tale sono in apparenza, addirittura prendiamo posizione in modo parziale con il gusto di creare spaccature, fazioni, gossip e zizzania in un dato ambiente, potremmo anche consegnare il tesserino agli opportuni organi di competenza perché avremmo fallito la nostra missione.

Ad ogni modo, chissà se un giorno si riuscisse ad aprire uno spiraglio di comunicazione tra società e tifosi, dato l’appoggio imprescindibile alla squadra. Sarebbe bello, interessante e forse anche intrigante se il club proponesse un contributo economico per le coreografie: potrebbe essere considerato come un premio alla tifoseria che segue la squadra e rende il San Carlo del Calcio una bellissima rappresentazione di appartenenza sportiva e territoriale attraverso cori, sfottò, coreografie e anche autoironia. Certo, a patto che il San Paolo si riempia e i tifosi facciano i tifosi, mostrando la loro vicinanza, al di là delle diatribe e di un campionato che pian piano sta morendo in termini di appeal. Perché, come dice un detto antico, il Napoli non è soltanto una squadra: il Napoli è lo stato d’animo della città.

La Redazione

 

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