La Spagna come esempio

Da 2 mesi a questa parte il mondo intero sta vivendo un periodo più che difficile, qualcosa di mai visto prima d’ora che molto probabilmente i nostri nipoti studieranno sui libri di storia.

Stiamo parlando del Coronavirus.

L’Italia e le altre zone dell’emisfero sono state colpite da questa spaventosa pandemia, mettendo in ginocchio tutti i paesi e arrivando a dati tragici.

La Cina è stato l’epicentro di questa epidemia per poi arrivare allo “stivale”, nel caldo clima spagnolo, in Francia e così via. Inutile negarlo, il mondo si è fermato in tutto e per tutto: l’economia e  le manifestazioni sportive sono solo alcuni dei fattori che ci comunicano la modalità “stand-by” acquisita dal globo.

Tutto d’un tratto le persone hanno dovuto rispettare la quarantena e di conseguenza si sono viste negare gli affetti dei cari, gli amici e anche lo sport.

Quest’oggi andremo ad analizzare l’ultima attività proibita in uno dei suoi rami, il calcio. 

In questo periodo ci sono numerosi punti interrogativi su qualsiasi domanda ed è veramente difficile trovare una via di fuga, una risposta ad ognuna di esse. Il “football” è fermo, così come la vita, da un bel po’.  Per il pianeta, il calcio ha sempre rappresentato una valvola di sfogo, che sia giocato o anche solo tifato; è quel momento in cui la testa applica la modalità aereo e segue solo il gioco del pallone. Per gli italiani, molto più di altri, rinunciare al loro gioco preferito è un po’ come essere proibiti dell’aria. Essi hanno assunto le sembianze della foto simbolica di Pablo Escobar nella serie su Netflix. Aspettando qualcosa, un po’ come si attende un familiare andato via per lavoro, un po’ come quando torna tua madre che non vedi dalla mattina.

Ecco, gli italiani sono stati e stanno ancora così.

Con le mani in mano, seduti, isolati e con la testa completamente altrove.

Mentre la lega ed il governo continuano ad aspettare per dare l’ok al tutto c’è chi in Spagna si è mosso e anche bene.

La nazione iberica ha iniziato a prendere una decisione tanto difficile quanto importante facendo capire quanto valore attribuiscono al cuore pulsante di questo sport: i tifosi.

Stiamo parlando del verdetto sulla finale della Copa del Rey.

C’erano numerosi punti di domanda su questo match ma dopo che le due squadre interessate, l’Athletic Bilbao e il Real Sociedad, hanno espresso il “desiderio” di giocare a porte aperte la risposta della RFEF (federazione Spagnola) non si è fatta attendere attraverso un comunicato:

“La RFEF condivide pienamente il desiderio dei club di Athletic e Real Sociedad di giocare la finale della Copa del Rey quando circostanze sanitarie e sportive consentono alla finale di essere aperta al pubblico e con la presenza di entrambi i fan e tutti quelli fan che desiderano partecipare.

La Casa Reale e il Trofeo con le radici e la tradizione più grandi nel calcio spagnolo meritano una finale con il pubblico. Per questo, la RFEF accoglie la decisione e la richiesta congiunta di entrambi i club e articolerà i meccanismi regolatori necessari affinché la finale di Copa del Rey si svolga come una competizione ufficiale al momento opportuno durante l’anno 2020 o 2021 e sempre prima della finale della stagione 2020/2021”.

Maggiore priorità ai tifosi, come giusto che sia. Come ho ripetuto più volte: è solo grazie a loro se il calcio può dichiararsi una potenza mondiale. Un po’ come i dipendenti di un’azienda, senza di essi non si riuscirebbe ad arrivare a nessun risultato.

In Italia, invece, come sempre si fa fatica a fare questo ragionamento. Infatti in questi giorni sta iniziando a prendere quota il riavvio a porte chiuse, finali comprese.

Abbiamo assistito a questo sport senza i supporters ed è stata una delle cose più desolanti di questo mondo dalle urla dello staff, dell’allenatore ai commentatori imbarazzati.

 Inutile girarci intorno, il calcio senza spettatori non è nulla.

Voi?

Iniziereste tutto senza tifosi ora o con tifosi tra un po’?

Gennaro Del Vecchio

Start typing and press Enter to search