EUROPA PALCOSCENICO MALEDETTO PER IL NAPOLI. ALLA RICERCA DEL MIX PER DIVENTARE COMPETITIVI

Sulle note della nona sinfonia di Ludwig von Beethoven è tempo di immergersi nella campagna europea, un palcoscenico da tutti sognato e da tutti idolatrato. Europa quel mix di magia, diversità e passione, quella che accomuna tutto il territorio abbracciato dal vessillo blu con le stelle, la passione per il calcio. Un palcoscenico in cui il Napoli nonostante ormai gli 11 anni consecutivi nelle coppe europee, roba da top club pensando a società storiche come il Milan che non giocano la Champions da diversi anni, gli azzurri non riescono ad imporsi e tanto meno a trovare una vera e propria identità che vada oltre i pronostici dei bookie o dei giornali. Alla base sono diversi i fattori che portano il Napoli ad incappare in serate nere come quella di ieri all’Emirates o di Dnipropetrovsk quando ci fu la clamorosa eliminazione in semifinale di Europa League. Ma come può e deve il Napoli ritagliarsi una parte da protagonista nel copione di questo film chiamato Competizioni Europee? La piazza è stufa, lo stadio non le manda a dire e forse qualcuno aveva ragione aldilà degli altri retroscena quando ha detto “ è brutto arrivare sempre secondi e non riuscire vincere mai nulla”. E’ lecito sognare ma anche indagare sul perché l’Europa sia sempre cosi amara agli azzurri – ovviamente nella speranza che i 90 minuti al San Paolo possano smentirci – che da anni sono sempre una eterna incompiuta.

Alla base della notorietà e della costanza Europea la prima cosa che rileva è il successo del Brand, l’esser riconosciuti a qualunque latitudine del globo, perché se in uno store a Ulan Bator le persone comprano la maglia del Manchester United e non la tua dei motivi ci sono. In un epoca in cui il marketing e la visibilità sono tutto cio che conta, in tale ottica il Napoli trova non poche difficoltà a districarsi. Ci si stanca per esser ricordati come la squadra di Maradona con al petto lo sponsor Buitoni o come quelli che non vogliono concedere i diritti d’immagine ai propri calciatori. Il Napoli in tal ottica è dietro anni luce, sarà pure vero che Robe Di Kappa brand italianissimo fornisce condizioni economiche migliori rispetto ai colossi come Nike e Adidas ma c’è sempre l’altro lato della medaglia da analizzare. Chiunque viaggia nel mondo avrà visto uno store firmato “Threee Stripes” oppure quello del noto “Baffo” made in USA, la domanda sorge spontanea e ovvia, Macron e Kappa hanno portato novità nel design accattivante e a volte criticato, ma non riescono ad abbracciare e a affascinare il panorama mondiale che scegliere sempre altri brand. Lodevole è l’apertura al mercato asiatico attraverso i vari canali Dugout, ma se all’anno corrente il marchio è al 31° posto con un valore di 183 milioni di dollari superati anche da una squadra come il Leicester che vanta un valore brand di 289 milioni di dollari nonostante abbia solo una partecipazione alle coppe europee negli ultimi 11 anni. Strano ma vero, la forza di una squadra in Europa e nel Mondo è il brand, cosa che il Napoli deve rivedere e ristudiare.

Un top team nasce dalle basi, nasce dalla crescita del proprio PIL calcisticamente parlando, ricordando il Barcellona di Guardiola che nella stagione 2008/2009 anno in cui gli azzurri tornarono in europa, i blaugrana vinsero tutto e nella rosa vantavano 10 canterani di cui almeno 7 titolari. Dieci anni dopo l’Ajax sta vivendo una favola e impressionando tutti per atletismo e tatticismo ma nessuno ha fatto caso che gente come De Ligt, Mazraoui, Van De Beek e De Jong sono prodotti del vivaio che fanno gola a tutta Europa e che hanno arrecato non pochi grattacapi a Cristiano Ronaldo? Il Napoli e il settore giovanile sono da sempre stati un amore Catulliano, tanto bello quanto impossibile. Il calcio per i giovani ragazzi napoletani potrebbe e dovrebbe essere un’ancora di salvezza ma se l’unica società della città dove vivono non ha un centro sportivo dove poter sia lavorare al meglio con la prima squadra che con la primavera e permettergli di vivere il calcio a 360°? Se in Inghilterra l’Arsenal dalla sua Academy ha sfornato gente come Theo Walcott, Maitland Niles, Iwobi e noi siamo riusciti per miracolo a tirar fuori Lorenzo Insigne tanto criticato quanto acclamato. Bene la proporzione tra il vivaio del Napoli e quello dei top club europei è imbarazzante quando poi si pensa che un canterano come Busquets abbia vinto 3 Champions League, un Mondiale e un Europeo mentre Lorenzo Insigne vanta semplicemente una Coppa Italia e una Supercoppa, territori di caccia totalmente diversi. Il sogno della “Scugnizzeria” resterà solo un bel titolo per i giornali e carico di false speranze se ci si ostina a non scommettere in casa propria cominciando dalle strutture per finire ai calciatori.

Per incidere nelle campagne europee c’è bisogno di validi condottieri, Giulio Cesare insegna, Napoleone un po meno. Per vincere c’è bisogno di vincenti, di gente, di allenatori abituati a certe partite e a certi stress a cui l’Europa ti sottopone. Se Reja e Mazzarri erano validi, validissimi condottieri che hanno fatto della cattiveria e dell’arrangiarsi una dote utile a imporsi in Italia portando gli azzurri a diventare quello che oggi è il secondo top team d’Italia meno bravi lo sono stati in Europa. Un’inversione di tendenza ci fu quando all’ombra del Vesuvio giunse Rafa Benitez che con Valencia e Liverpool ha vinto una Champions e una Coppa UEFA, non il primo arrivato. L’era Benitez è stata forse quella più fruttifera a livello Europeo ma che in fin dei conti aveva raccolto più di quanto ci si aspettasse visto che all’epoca investimenti,progetti e fatturato portavano il Napoli a vivere ancora quella fase di apprendistato da big. Una semifinale in terra ucraina persa col Dnipro è l’apice della campagna europea dei Benitez macchiata da quella sciagurata eliminazione in Champions League nel girone di ferro. Ci siamo innamorati di Sarri e del suo tatticismo sfrenato ma le notti europee targate Sarrismo meglio dimenticarle e conservare solamente il 22 aprile allo Juventus Stadium , perché se Napoleone si fermò alle porte di Mosca, Sarri a Lipsia ci ha lasciato clamorosamente le penne. Una nuova era si apre con Ancelotti per molti il Giulio Cesare tanto acclamato, il maestro della decima del Madrid e del Milan di Kakà e Sheva che faceva la storia. Una nuova ventata tattica e di approccio trovano però l’urna di Nyon come primo nemico, sia in Champions con Liverpool e PSG poi in Europa League con l’Arsenal. Dal Re di coppe ci si aspettava e ci si aspetta di più in quelli che sono gli ultimi 90 minuti che valgono più di ogni altra cosa. Perché può andar bene l’anno transitorio e di ambientazione ma l’organico azzurro poteva e puo ancora essere uno dei migliori in questa Europa League che al primo boccone si sta rivelando amara e fallimentare.

La ricetta vincente che porta alla vittoria è li a portata. Brand, Academy ed Allenatore sono la chiave giusta. Il Napoli deve smetterla di partecipare, deve smetterla di fomentare il tifo se non ha chiaro cosa vuole fare da grande. La Napoli del tifo da grande vuole vincere, macina chilometri ed è vittima di pregiudizi preistorici a destra e manca. Tutto ciò necessita di rispetto, di identità e di voglia di vincere. D’altronde è bello vedere le stelle tutte le sere ma ad un certo punto ti vien voglia di toccarle per mano. E tu caro Napoli ti accontenti di guardare? E’ tempo di diventare una stella e smetterla di partecipare.

Ciro Morra

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