DA MINNEAPOLIS AL CALCIO, IL RAZZISMO NEL MONDO.


L’omicidio di George Floyd da parte della polizia negli US è solo la punta di un iceberg invisibile, quello delle ingiustizie sociali della White Supremacy. Innumerevoli gli abusi di potere della polizia americana, quasi all’ordine del giorno. Lo raccontavano la East e la West Coast nei loro testi, ne hanno parlato i più celebri personaggi della lotta alla discriminazione razziale. Nina Simone, con il suo Ain’t got ad esempio, parla di quelle che erano le reali assurdità di uno stato apparentemente libero come quello a stelle e strisce, costruito, solo teoricamente, su ideali ugualitari.
Storicamente il più grande evento della storia razzista americana è quello degli scontri di Detroit del 1967: 43 morti, 1.189 feriti e più di 7.200 arrestati.
A distanza di oltre 50 anni poco sembra essere cambiato, negli Usa persistono ancora rilevanti differenze razziali fomentate dal comportamento delle divise.
I corpi di polizia sono sempre stati un fattore determinante della lotta bipartisan alla criminalità, a partire dai tempi della Ricostruzione.
Più che dare risposte, possiamo solo porre degli interrogativi per arrivare ad analizzare l’ultima di una lunga serie di morti comprensibilmente prive di senso, ovvero quella di George Floyd lo scorso 25 Maggio, la quale viola non solo il codice vigente nel corpo poliziesco ma anche quello “umanitario”, in quanto nessun essere vivente meriterebbe una morte come quella dell’individuo afroamericano, soprattutto in relazione alla sua “lieve infrazione”.
Perché chi dovrebbe servire la terra della “meritocrazia” sfoga ancora la propria violenza sugli ispanici e sugli afroamericani?
Perché intercorre una netta distanza sociale tra istituzioni e cittadini? Ma soprattutto, perché la mentalità retrograda di fin troppe realtà americane non cessa ancora di esistere?
Il razzismo dilunga le proprie radici anche verso lo sport; il calcio rappresenta probabilmente l’epicentro del suo sviluppo in un ambito differente da quello sociopolitico. Nel corso degli anni gli episodi discriminatori hanno avuto un’impennata considerevole, moltiplicandosi a vista d’occhio; tra i più spiacevoli ricordiamo quello ai danni di Moussa Marega, il quale durante una partita tra Porto e Vitoria SC, fu insultato pesantemente dai suoi ex tifosi tramite i soliti farfugli. L’imponente reazione del giocatore (comprensibilmente giustificata) scaturì un’ondata di fischi da parte dell’intero stadio ed anche il lancio di un sediolino verso l’attaccante, il quale in una condizione mentale compromessa, tra rabbia e delusione, decise di abbandonare il terreno di gioco. Spostandoci in Italia la situazione non cambia, anzi peggiora, in quanto il nostro paese a tal proposito può considerarsi come uno dei più arretrati a causa dell’incredibile disinformazione divulgata dai nostri politici, i quali indirizzano la miriade di problemi che colpiscono la penisola verso un unico fenomeno, quello migratorio, alimentando così l’odio nei confronti degli stranieri, il che si riversa successivamente in ambiti del tutto differenti, quali il calcio. Le numerose battaglie in favore dell’acquisizione dei propri diritti da parte delle persone di colore e non, sono risultate praticamente effimere, così come le varie leggi istituite nel corso del tempo si sono rivelate un semplice pezzo di carta. Che differenza c’è tra un bianco e un nero? Tra un europeo ed un africano? Tra un africano ed un asiatico?
Siamo tutti sotto lo stesso cielo, portatori di culture differenti ma pur sempre figli di un’unica entità, religiosa o laica che sia.

Renato Oliviero – Matt Report

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